Nuovi dati su Fashion Checker mostrano quanto la trasparenza sia fondamentale per chiedere ai marchi di impegnarsi per non lasciare nell’indigenza le proprie lavoratrici durante la pandemia
Molti marchi fanno promesse e affermazioni sul rispetto dei diritti delle lavoratrici e sul pagamento dei salari dignitosi, ma senza trasparenza rimangono parole che è difficile verificare e con cui spingerli ad assumersi le proprie responsabilità.
“I brand devono smetterla di nascondere le loro catene di fornitura. I loro vestiti sono realizzati da persone reali, quelle colpite più duramente dalla pandemia. Quando si verificano violazioni dei diritti, le lavoratrici devono sapere come e dove trovare rimedio. E i consumatori meritano di sapere come e dove vengono prodotti i vestiti che acquistano” dichiara Paul Roeland, coordinatore della campagna sulla trasparenza per la Clean Clothes Campaign.
I dati aggiornati di Fashion Checker, raccolti in collaborazione con Fashion Revolution, parlano chiaro e svelano una verità inquietante. Un numero troppo elevato di marchi non sta ancora facendo nulla o molto poco sulla trasparenza. 159 brand (60%) ricevono una valutazione di 1 o 2 stelle, non rispettando per nulla il Transparency Pledge, cioè le cinque richieste minime formulate da sindacati e organizzazioni della società civile internazionale per cominciare a mettere in chiaro le catene di fornitura. Finalmente anche alcuni marchi del lusso italiani cominciano a fare i primi passi mettendo in chiaro alcune informazioni sulla propria filiera. Solo 46 marchi su 264 (17%), comunque, ricevono cinque stelle, rivelando informazioni aggiuntive e fondamentali sulla loro catena di fornitura, come ad esempio l’esistenza o meno di un sindacato sul posto di lavoro.
Per quanto riguarda il pagamento dei salari dignitosi, la situazione non è certo migliore. La crisi pandemica ha mostrato chiaramente quanto le paghe già misere prima del Covid-19, la abbiano aggravata ulteriormente, non permettendo alle lavoratrici ad esempio, di poter contare su un minimo di risparmi per fare fronte ai periodi chiusura. Diversi report lanciati negli ultimi mesi hanno mostrato come ancora oggi i loro salari spesso non raggiungano nemmeno il livello minimo legale o i livelli pre-pandemia. Sulle loro spalle è stato di fatto scaricato tutto il costo della crisi. Solo 5 marchi, tra quelli analizzati, dichiarano di corrispondere un salario dignitoso almeno ad alcuni dei lavoratori impiegati nella loro filiera.
“Ogni mese devo pagare debiti, acqua ed elettricità, ma il mio salario non è sufficiente. Non voglio vedere obiettivi di produzione sempre più elevati con un numero sempre minore di lavoratori per raggiungerli. Non abbiamo abbastanza entrate nemmeno per pagare i costi dei beni di prima necessità” le parole di una lavoratrice cambogiana che produce per Primark.
Le lavoratrici in Cambogia, ad esempio, sono state private di circa 109 milioni di dollari di retribuzione durante il blocco nazionale di aprile e maggio 2021. La Clean Clothes Campaign stima che ai lavoratori a livello globale spettino almeno 11,85 miliardi di dollari sottratti durante l’anno della pandemia da marzo 2020 a marzo 2021.
Per questo la campagna #PayYourWorkers sta chiedendo a tutti i marchi di abbigliamento e ai distributori di impegnarsi a negoziare un accordo vincolante che copra questi costi, nonché a rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori secondo le convenzioni dell’ILO. L’obiettivo a breve termine della Clean Clothes Campaign è che i marchi paghino quanto dovuto e garantiscano le indennità di licenziamento. Al contempo il salario dignitoso in tutte le catene di fornitura dell’industria tessile rimane l’obiettivo generale.
“Certamente in questa fase di grave crisi che ha, ancora una volta, impattato pesantemente la vita di milioni di lavoratori e lavoratrici tessili nel mondo, è urgente che gli venga restituito quanto legalmente dovuto e ingiustamente trattenuto durante la pandemia. Tuttavia è chiaro che questo è solo il primo passo verso un obiettivo fondamentale e altrettanto urgente: il pagamento a tutti lavoratori delle filiere globali della moda di un salario minimo dignitoso, che contribuisca a fare uscire milioni di lavoratori dalla spettro dell’indigenza, dell’insicurezza e della violenza di genere” conclude Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti.