Il 24 aprile 2024 ricorre l’11° anniversario della peggiore tragedia dell’industria della moda: il crollo dell’edificio Rana Plaza, che ha causato la morte di 1.138 persone. Il catastrofico bilancio di morti e feriti è stato causato da un mix letale di fattori, determinati dai marchi della moda: aver ignorato le condizioni pericolose delle fabbriche, i salari da fame e, soprattutto, le limitazioni alla capacità dei lavoratori di organizzarsi collettivamente. 

Sebbene siano stati compiuti progressi senza precedenti per rendere le fabbriche più sicure, la brutale repressione dei diritti dei lavoratori, ancora in atto, in risposta alle proteste per l’aumento del salario minimo, ha dimostrato che i marchi che producono in Bangladesh non riescono ancora a garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei loro lavoratori e lavoratrici, impedendogli di fatto di sentirsi al sicuro. 

  • La catastrofe ha spinto i marchi a firmare un accordo vincolante con i sindacati, che ha reso le fabbriche del Bangladesh molto più sicure e ha evitato incidenti di massa. Tuttavia, brand importanti come Levi’s, IKEA, Amazon e altri si rifiutano di aderire, lasciando gli appelli di lavoratori e attivisti inascoltati. 
  • Nel 2023, le aziende multinazionali  non hanno sostenuto in modo esplicito l’aumento del salario legale a un livello sostenibile per i lavoratori e le loro famiglie, con la conseguenza che nonostante le vigorose proteste dei lavoratori in Bangladesh i salari in questo paese continuano ad essere i più bassi nel mondo
  • Mentre i lavoratori rivendicavano i loro diritti fondamentali a manifestare contro il processo antidemocratico di definizione dei salari, i marchi non si sono adoperati per impedire una repressione prevedibile e premeditata, dando tacito consenso a tattiche violente che hanno causato la morte di quattro lavoratori e il ferimento di molti altri. 
  • Brand come H&M, Inditex (Zara), Next, C&A, tra gli altri, non fanno nulla mentre le loro fabbriche fornitrici tengono i lavoratori e i sindacalisti sotto minaccia di arresto, a causa di denunce penali infondate contro decine di migliaia di persone “senza nome” associate alle proteste. 
  • Il 24 aprile 2024, il Parlamento europeo ha in calendario il voto sulla proposta di direttiva sulla due diligence (dovuta diligenza) per la sostenibilità delle imprese, che rappresenta un passo avanti verso la responsabilizzazione dei marchi rispetto alle violazioni dei diritti umani e del lavoro nelle proprie catene di fornitura. I recenti avvenimenti in Bangladesh dimostrano quanto lavoro hanno ancora davanti a sé i brand della moda globale per essere all’altezza di questi nuovi obblighi legali.

Il Rana Plaza, che ospitava cinque fabbriche tessili, è crollato la mattina del 24 aprile 2013. L’edificio era stato evacuato il giorno prima perché i lavoratori avevano segnalato la presenza di pericolose crepe nei muri. Mentre i negozi al piano terra sono rimasti vuoti quel giorno, le fabbriche si sono rifiutate di fermarsi e hanno costretto i lavoratori e le lavoratrici a entrare con la minaccia di trattenere i salari. Lottando per sopravvivere con paghe da fame e senza un sindacato che difendesse collettivamente i loro diritti, la maggior parte di loro è entrata in fabbrica. Una catastrofe prevedibile e prevenibile. I marchi sapevano della pericolosità degli edifici a più piani in tutto il Bangladesh, ma non sono mai intervenuti. Sapevano anche che la coercizione implicita nei salari di povertà limitava fortemente le scelte dei lavoratori e, soprattutto, che gli ostacoli al diritto di organizzarsi lasciavano i lavoratori e le lavoratrici esposti a gravi rischi. 

Fabbriche più sicure

I sindacati e i gruppi di attivisti per i diritti dei lavoratori hanno sollevato questi problemi per oltre un decennio e hanno sviluppato un accordo vincolante che i marchi e i sindacati avrebbero dovuto firmare per rendere le fabbriche più sicure. Nonostante i numerosi confronti con i maggiori brand acquirenti del Bangladesh, solo due di loro hanno firmato questo accordo prima della scadenza. Altri hanno continuato ad affidarsi allo stesso sistema di audit sociale che non era riuscito a prevenire molti disastri precedenti, e non hanno riconosciuto i rischi dell’edificio Rana Plaza.  Appena tre settimane dopo il disastro, un gruppo di grandi marchi ha firmato l’Accordo internazionale per la salute e la sicurezza nell’industria tessile e dell’abbigliamento, rendendo evidente la necessità di tali misure.

Questo accordo e quelli successivi sono il motivo per cui il Bangladesh, che prima del 2013 registrava spesso incidenti con numerose vittime nelle fabbriche tessili, non ha più vissuto disastri simili. Miglioramenti che vanno dall’installazione di attrezzature antincendio alla rimozione dei lucchetti alle porte, fino a ristrutturazioni su larga scala di edifici strutturalmente insicuri, oltre alla formazione dei lavoratori sul tema della sicurezza e a un meccanismo di reclamo, hanno portato un cambiamento concreto, soprattutto nei primi sette anni di applicazione dell’Accordo, prima, cioè, che i datori di lavoro iniziassero a esercitare un’influenza indebita sul programma. 

Il successo dell’Accordo è riconosciuto dai 200 marchi di tutto il mondo che lo hanno firmato con i vari aggiornamenti, tra cui alcuni dei brand più grandi e noti come H&M, Uniqlo, Inditex (Zara) e PVH (Calvin Klein). Tuttavia, ci sono ancora grandi nomi che continuano a nascondersi dietro controlli fai da tè o iniziative commerciali senza la partecipazione dei sindacati. Tra questi Levi’s, IKEA, Kontoor Brands (Lee, Wrangler), Decathlon, Tom Tailor, VF Corporation, Walmart, Amazon, Columbia Sportswear e altri. 

Amin Amirul Haque, presidente della National Garment Workers Federation (NGWF), ha dichiarato: “Il rifiuto di marchi come Levi’s e IKEA di firmare l’Accordo significa che sono disposti a rischiare la vita dei loro lavoratori per la produzione dei loro prodotti. Continuano a fare affidamento sugli stessi sistemi aziendali che non sono riusciti a prevenire il crollo del Rana Plaza. È una vergogna assoluta, così come è vergognoso che ci siano circa una dozzina di marchi che hanno fabbricato i loro prodotti nel Rana Plaza e non hanno mai pagato alcun risarcimento alle famiglie dei 1.138 lavoratori uccisi e degli oltre 2.500 lavoratori feriti. Questo è più che indecente, è un doppio crimine: sono colpevoli di morte per negligenza e di aver lasciato le famiglie colpite senza alcun risarcimento“.

Tuttavia, l’Accordo ispeziona e copre solo il livello finale della produzione di abbigliamento. Ciò significa che anche i lavoratori e le lavoratrici delle catene di fornitura dei marchi già firmatari dell’Accordo potrebbero rischiare la vita mentre lavorano nelle tessiture e nelle tintorie senza che vengano adottate le stesse misure di sicurezza. È importante che i marchi firmatari prendano provvedimenti per garantire che anche queste aziende rientrino nel campo di applicazione dell’Accordo.  

Salari di povertà

Il disastro del Rana Plaza, tuttavia, non è stato causato solo da un edificio non sicuro. Uno dei motivi per cui i lavoratori si sono sentiti costretti a entrare nell’edificio è stata la minaccia di perdere i salari, così bassi da costringerli spesso a indebitarsi in maniera significativa. I trascurabili aumenti del salario minimo del 2013, 2018 e 2023 hanno mantenuto il livello di povertà, intaccato ulteriormente dall’inflazione considerando questi intervalli così lunghi (5 anni). L’ultimo processo di revisione salariale del 2023, altamente antidemocratico, ha portato a un nuovo salario minimo di 12.500 BDT (113 USD), poco più della metà di quanto richiesto dai sindacati sulla base del calcolo del costo della vita. Si tratta di una mera frazione di quello che sarebbe un salario dignitoso. 

I sindacati e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori hanno ripetutamente contattato i marchi durante questo processo per esortarli a esprimersi a sostegno delle richieste dei lavoratori e a garantire che avrebbero pagato ai fornitori prezzi più alti per i loro prodotti per far fronte all’aumento salariale. I marchi, il cui potere di imporre prezzi bassi influenza direttamente i salari e le condizioni nelle fabbriche fornitrici, hanno espresso impegni vaghi e non sono riusciti a infondere nei proprietari delle fabbriche la fiducia che un aumento salariale sarebbe stato finanziariamente fattibile. Invece, quando marchi come H&M hanno annunciato di fare il minimo indispensabile inserendo nei propri prezzi il salario di povertà appena approvato, hanno ricevuto il plauso dei media di tutto il mondo, dimostrando quanto siano basse le aspettative sul comportamento dei marchi della moda. Questa compressione dei prezzi ha limitato l’aumento dei salari e ora sembra addirittura influenzare l’applicazione di questo aumento molto limitato. Diverse fabbriche, tra cui i fornitori di grandi marchi internazionali, non hanno comunque applicato il nuovo salario, il che significa che i lavoratori e le lavoratrici non riceveranno nemmeno il salario di povertà a cui hanno diritto per legge. 

Babul Akhter, Segretario generale della Federazione dei lavoratori dell’abbigliamento e dell’industria del Bangladesh (BGIWF), ha dichiarato: “Il nuovo salario minimo è poco più della metà di quello che i sindacati chiedevano durante il processo di definizione. La richiesta si basava su calcoli elementari del costo della vita ed era ancora molto lontana da un vero e proprio salario dignitoso in grado di sostenere adeguatamente una famiglia. Il nuovo salario minimo è un salario di povertà che mantiene i lavoratori sull’orlo dell’indigenza per i prossimi cinque anni“.

Libertà di associazione

I lavoratori non sono rimasti in silenzio mentre veniva deciso un nuovo salario di povertà attraverso un processo che escludeva la loro voce. I sindacati hanno iniziato a organizzarsi per una proposta salariale che soddisfacesse il costo della vita all’inizio del 2023. Ad ottobre, quando i datori di lavoro hanno condiviso una proposta salariale inaccettabile, molti altri lavoratori sono scesi in piazza per protestare, aumentando ancora a novembre quando la commissione salariale del Paese ha presentato la sua raccomandazione finale di soli 12.500 BDT (113 USD). Su richiesta dell’industria, la polizia, l’esercito e le unità speciali sono state dispiegate per reprimere le manifestazioni spontanee. Le fabbriche non sono riuscite a proteggere i lavoratori dalla violenza; anzi, con l’aumentare della tensione, molte hanno chiuso e mandato i lavoratori in strada senza preavviso o assistenza, esponendoli a gravi pericoli. I lavoratori che protestavano e quelli che non avevano intenzione di farlo sono stati accolti da una repressione violenta e dall’uso arbitrario della forza, che ha causato quattro morti e molti altri feriti. 

I quattro lavoratori morti (Rasel Howlader, 26 anni, Jalal Uddin, 40 anni, Anjuara Khatun, 23 anni, Imran Hossain, 32 anni) producevano per marchi internazionali come H&M, Zara, C&A, Bestseller e Walmart. Una situazione che riflette un chiaro disinteresse nei confronti dei lavoratori. Visti i risultati identici nel 2018, anche lì con la morte dei lavoratori, la violenza che ha circondato le proteste può essere considerata premeditata e prevedibile; eppure i marchi non hanno intrapreso alcuna azione significativa prima o durante il processo sull’approvazione del salario minimo per evitare che si ripetesse una simile tragedia. Ciascuno di questi marchi si è rifiutato di risarcire le famiglie, al di là del misero indennizzo di circa 4.500 dollari che le famiglie hanno ricevuto finora, che è molto al di sotto dello standard risarcitorio ampiamente accettato, stabilito sulla scia del disastro del Rana Plaza e basato sulla Convenzione ILO 121. 

Le denunce della polizia e le cause legali, presentate contro i lavoratori e i leader sindacali dai proprietari delle fabbriche e dalla polizia, hanno portato ad arresti, detenzioni a lungo termine e accuse penali. Poiché la maggior parte delle accuse sono rivolte a “lavoratori senza nome”, la minaccia di un’azione legale pende ora sulla testa di qualsiasi operaio “esca dai ranghi” e che potrebbe essere improvvisamente “identificato” come parte di un caso in corso, come è già accaduto a diversi importanti leader sindacali. Le organizzazioni per i diritti dei lavoratori hanno esortato i principali marchi internazionali, nelle cui fabbriche delle catene di fornitura si sono verificati questi episodi, a usare la loro influenza sui fornitori per garantire il ritiro delle accuse. Sebbene ciò abbia portato al ritiro di diversi casi, la maggior parte dei marchi non ha agito, permettendo a circa due dozzine di processi di rimanere attivi. Forti del loro potere contrattuale, marchi come H&M, Inditex (Zara), Next e C&A avrebbero potuto chiedere l’archiviazione di questi casi, ma non lo hanno fatto. 

Rashadul Alam Raju, segretario generale della Bangladesh Independent Garment Union Federation (BIGUF), ha dichiarato: “Le denunce legali inventate contro lavoratori senza nome incutono paura, perché chiunque potrebbe essere identificato come colpevole in un caso. Diversi sindacalisti, anche della mia organizzazione, hanno trascorso del tempo in prigione per un presunto crimine avvenuto mentre si trovavano dall’altra parte della città. Marchi come H&M, Zara e Next devono fare tutto il possibile per garantire che queste denunce siano archiviate“.

I casi legali sono particolarmente gravi perché hanno un ulteriore effetto raggelante sull’organizzazione dei lavoratori in Bangladesh. Nonostante alcuni miglioramenti iniziali negli anni immediatamente successivi al crollo, resta estremamente difficile registrare un sindacato in Bangladesh e le violenze e le molestie contro i sindacalisti sono comuni. Nel giugno 2023, il rappresentante della Bangladesh Garment and Industrial Workers Federation Shahidul Islam è stato picchiato a morte dopo aver abbandonato le trattative salariali con la fabbrica Prince Jacquard Sweater. All’inizio di quest’anno, due sindacalisti della Akota Garment Worker Federation sono stati aggrediti e ricoverati in ospedale dopo aver lasciato una fabbrica che stavano cercando di organizzare. 

Una nuova legge per responsabilizzare i marchi

Il crollo del Rana Plaza ha aperto gli occhi ai cittadini e ai politici dei Paesi consumatori sul ruolo delle aziende nelle violazioni dei diritti umani e del lavoro nelle catene globali del valore e sulla necessità di regolamentare il comportamento delle aziende. Da anni attivisti, sindacati e gruppi per i diritti dei lavoratori evidenziano la necessità di obblighi vincolanti per le aziende e chiedono una maggiore responsabilità in capo alle imprese. 

Questi appelli hanno avuto un primo successo nel 2017, quando in Francia è stata approvata la prima legge sulla due diligence, soprannominata “legge Rana Plaza”. La Germania ha seguito l’esempio nel 2023. Esattamente 11 anni dopo il crollo, il Parlamento europeo dovrebbe votare, proprio il 24 aprile, la direttiva sulla due diligence di sostenibilità aziendale. 

Questa legge obbligherà le aziende a svolgere un processo di due diligence sui fornitori delle loro filiere, incluse le relazioni commerciali indirette, volto a identificare, prevenire, mitigare e rimediare alle violazioni dei diritti umani e del lavoro che si verificano nelle fabbriche che compongono la loro catena di fornitura. In alcuni casi, le aziende potrebbero essere ritenute legalmente responsabili delle proprie azioni e dell’impatto sui lavoratori. La legislazione proposta riguarderà solo le più grandi aziende attive nell’UE, ma è comunque un passo importante per rendere i marchi responsabili del loro impatto nelle catene globali del valore e contribuirà a prevenire il verificarsi di nuovi disastri. 

Priscilla Robledo, coordinatrice delle attività di Lobby e Advocacy della Campagna Abiti Puliti, afferma: “Questo anniversario deve diventare anche un giorno di speranza e non solo di commemorazione. Nel momento in cui ricordiamo le vite distrutte nel crollo del Rana Plaza, questa direttiva rappresenta una tappa significativa per i lavoratori, le comunità e gli attivisti di tutto il mondo e un passo concreto verso l’affermazione della responsabilità delle imprese“.

La complicità dei marchi nella recente repressione in Bangladesh dimostra che hanno ancora molta strada da fare per rispettare pienamente i diritti umani e del lavoro nelle loro catene di fornitura. Per rispettare gli impegni assunti e svolgere un adeguato processo di due diligence, riteniamo che i marchi internazionali della moda debbano: 

  1. Chiedere ai loro fornitori di ritirare immediatamente tutte le denunce penali presentate contro i lavoratori in relazione alle proteste; 
  2. Richiedere l’annullamento di qualsiasi altra azione di ritorsione intrapresa dai fornitori nei confronti dei lavoratori, compresa la reintegrazione dei lavoratori licenziati allo stesso livello di anzianità, con la piena retribuzione arretrata;  
  3. Condannare pubblicamente l’ondata di repressione contro i lavoratori dell’abbigliamento del Bangladesh, sottolineando il sostegno ai diritti fondamentali di associazione e di riunione dei lavoratori e l’immediata caduta di tutte le accuse di massa contro i lavoratori. 
  4. Garantire un risarcimento finanziario coerente con gli standard internazionali alle famiglie dei lavoratori nelle proprie catene di fornitura che sono stati uccisi nel corso delle proteste; 
  5. Usare la propria influenza e modificare le proprie pratiche di acquisto al fine di garantire il pagamento di salari dignitosi; 
  6. Firmare l’Accordo internazionale e tutti i programmi nazionali pertinenti e, nell’ambito dell’Accordo, impegnarsi attivamente per l’effettiva attuazione del programma e l’espansione a un maggior numero di fabbriche all’interno della propria catena di fornitura. 

 

Risorse

  • Per ulteriori informazioni sulla repressione dei diritti dei lavoratori e sull’inattività dei marchi, consultare https://cleanclothes.org/news/2024/bangladesh-crackdown. La rete della Clean Clothes Campaign ha contattato 45 marchi che si riforniscono da fabbriche che hanno intentato cause contro i lavoratori in protesta. I marchi con la maggior parte di questi casi nella loro catena di fornitura sono H&M, Inditex e Next. Questi casi hanno effetti reali sui lavoratori e sui sindacalisti e il fatto che molti degli accusati siano “senza nome” permette di usare queste denunce infondate contro qualsiasi lavoratore o sindacalista. In un caso particolarmente grave, due promotori sindacali della Akota Garment Workers Federation e del National Garment Workers Union sono stati accusati di tentato omicidio e incarcerati per 66 giorni, anche se nessuno di loro è stato nominato nel rapporto o si trovava nelle vicinanze della fabbrica in quel particolare giorno. Questo dimostra come la minaccia di accuse senza nome incomba su ogni lavoratore e sindacalista in Bangladesh. Questa denuncia penale, che riguarda atti di vandalismo, incendi dolosi e la morte di un operaio, è ancora attiva nei confronti di diverse persone nominate e oltre 700 non nominate e ha portato all’incarcerazione di una dozzina di persone. I marchi che hanno influenza sulla fabbrica che ha presentato questa denuncia sono Bestseller, H&M, Aldi South, Next, Gap, Kmart Australia e Tom Tailor. Diversi marchi, come KIABI, Esprit, Kmart Australia, Decathlon e Target Australia, hanno rifiutato di assumersi ogni responsabilità e non hanno risposto affatto. 
  • La timeline di Rana Plaza Never Again documenta gli eventi e gli sviluppi più importanti degli ultimi 11 anni nell’industria dell’abbigliamento in Bangladesh e include le date chiave degli anni precedenti al crollo del Rana Plaza: ranaplazaneveragain.org/timeline.
  • Anche se in Bangladesh le vittime di incidenti di massa nelle fabbriche appartengono al passato, continuano a verificarsi piccoli incidenti che costano la vita alle persone. È importante che l’ambito di applicazione dell’Accordo venga ampliato per coprire anche le strutture che si trovano più in profondità nelle catene di fornitura dei marchi, come le filature e i laboratori di tintura. Per saperne di più: cleanclothes.org/keep-all-workers-safe
  • Ulteriori informazioni sull’Accordo internazionale sono disponibili sul sito web dedicato. Un elenco dei marchi che hanno firmato e non hanno firmato è disponibile qui. Una petizione che invita i marchi a firmare l’Accordo è disponibile qui.
  • Azioni e commemorazioni in collaborazione con la Clean clothes Campaign avranno luogo a Chicago (16 aprile – foto), Strasburgo (23 aprile), Bruxelles (24 aprile), Londra (24 aprile), Amsterdam (24 aprile) e in altre località del mondo. 
  • Nel 2022 è stato avviato in Bangladesh un programma pilota di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Employment Injury Insurance Scheme, EII o EIS), con l’obiettivo di garantire un risarcimento alle famiglie dei lavoratori uccisi sul posto di lavoro e a quelle degli infortunati sul lavoro. Questo progetto pilota dovrebbe portare a una legge che copra tutti i lavoratori dell’abbigliamento. La CCC incoraggia i marchi a partecipare al progetto pilota, ma questo non è sufficiente. In primo luogo, i marchi devono impegnarsi a praticare prezzi equi, includendo esplicitamente il costo dell’EII nel prezzo di acquisto. In secondo luogo, i marchi devono impegnarsi a rifornirsi, una volta entrata in vigore la legge, solo da fornitori che partecipano attivamente e fedelmente allo schema, secondo quanto previsto dalla legge. In terzo luogo, i marchi dovrebbero firmare un accordo giuridicamente vincolante a tal fine.