Il 25 giugno 2023 l’attivista sindacale Shahidul Islam veniva aggredito e ucciso davanti alla fabbrica Prince Jacquard Sweater Ltd, in Bangladesh. La sua famiglia non ha ricevuto nessuna forma di aiuto dai marchi che in quella fabbrica producevano e producono le loro merci. “Oggi commemoriamo la vita e l’attivismo di Shahidul Islam e invitiamo tutti i marchi coinvolti ad assumersi le loro responsabilità. Chiediamo anche che tutti i marchi che si approvvigionano dal Bangladesh decidano di adottare misure significative per garantire il diritto dei lavoratori ad organizzarsi”. Lo dichiara la rete Clean Clothes Campaign (CCC) che, dopo l’omicidio, ha “esortato il governo del Bangladesh a indagare in modo approfondito e trasparente sull’assassinio, identificandone gli autori e i mandanti, compresi possibili collegamenti tra gli aggressori e la direzione della fabbrica. Un anno dopo, le indagini procedono molto lentamente. Sebbene 14 persone, tra cui un funzionario della gestione amministrativa della Prince Jacquard Sweater’s Ltd., siano state formalmente accusate, i gruppi per i diritti dei lavoratori e la famiglia di Shahidul sostengono che andrebbero indagate anche altre persone, legate all’azienda”.

I membri della stessa rete hanno identificato e contattato oltre 50 marchi che si rifornivano dalla fabbrica tra un anno prima dell’omicidio e i mesi successivi, chiedendo loro di contribuire al risarcimento per la famiglia. Finora, degli oltre 50 brand, solo uno ha stanziato una quota per risarcire la famiglia, pari al 2% di quanto i cari del sindacalista avrebbero diritto di ricevere.

La campagna Clean Clothes monitorerà se e in che misura i marchi hanno contribuito ai risarcimenti. Sei i marchi più importanti – e ricchi – ai quali si chiede di risarcire la famiglia del sindacalista ucciso: RD Styles (che fornisce Saks Off Fifth, Anthropologie e altri), il marchio tedesco New Yorker e il marchio svedese Lager 157 (che hanno effettuato il maggior numero di ordini in fabbrica nell’anno prima dell’omicidio e nel caso di RD Styles e Lager 157 anche nell’anno successivo), la società sudafricana Ackermans-Pepkor, il marchio italiano Piazza Italia e la danese DK Company (proprietaria di decine di marchi, tra cui InWear e ICHI). La cifra auspicata non è casuale ma è pari a circa 212mila dollari, una somma stabilita secondo la Convenzione 121 dell’ILO: rappresenta i guadagni attesi di Shahidul Islam e sarebbe l’importo minimo che dovrebbe ricevere la sua famiglia, mentre il risarcimento potrebbe essere più alto se si considerasse il “danno morale”, cioè dolore e sofferenza emotiva.

“Continuiamo a chiedere verità e giustizia per una persona che è simbolo di una lotta ben più ampia e drammaticamente attuale, in un Paese come il Bangladesh dove aziende del Nord del mondo agiscono senza alcuno scrupolo, in assenza di tutele per lavoratori e lavoratrici – dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della campagna Abiti Puliti, che fa parte della rete internazionale Clean Clothes Campaign -. In giorni come questi, in cui in Italia si torna a parlare di schiavismo e caporalato, di fronte ad un’altra tragica morte, quella di Satnam Singh, ricordiamo tutte le vittime del lavoro e di logiche produttive che in nome del profitto mietono vittime. Dal settore dell’agricoltura a quello della moda, fino all’edilizia, queste persone sono infatti secondo noi vittime strutturali del sistema: finché non sarà messo radicalmente e profondamente in discussione l’attuale modo di produrre e consumare le merci, purtroppo continueremo a contare i morti”.