Prato è il più grande polo tessile d’Europa. Tuttavia, quasi nessun grande marchio possiede più fabbriche proprie. Anche Montblanc produce nel distretto di Prato. Il team di 20 Minuten “Reporter!n” è andato a vedere da vicino la situazione e ha realizzato un video reportage sulle condizioni di sfruttamento dei lavoratori della filiera del noto marchio del lusso.
Montblanc – parte del gruppo Richemont, che controlla anche Cartier e Van Cleef e ha sede nei pressi di Ginevra – pubblicizza le sue borse in pelle come frutto di una «maestria artigianale toscana». Molti modelli vengono venduti online a più di mille euro.
Alcuni operai della città toscana di Prato hanno denunciato gravi condizioni di sfruttamento da parte del fornitore Z Production.
«Lavoravamo sei giorni alla settimana per dodici ore consecutive e venivamo pagati solo due o tre euro all’ora», racconta Zain, 23 anni, originario del Pakistan, che si occupava del controllo qualità dei prodotti in pelle. «Ogni giorno producevamo tra 700 e 1000 borse», spiega. «Non avevamo diritti, ferie né la possibilità di metterci in malattia. Era come essere schiavi».
Secondo la sindacalista Francesca Ciuffi, non si tratta di un caso isolato. Situazioni simili a quelle di Z Production si trovano in molte altre aziende del distretto tessile di Prato. «Hanno creato una piccola Cina o un piccolo Bangladesh», denuncia.
20 Minuten ha chiesto un’intervista alla fabbrica coinvolta e ha contattato Montblanc e Richemont per ottenere un commento sulle accuse, ma nessuno ha risposto. In autunno, Montblanc aveva dichiarato all’agenzia Reuters di aver rescisso il contratto con il fornitore, poiché le condizioni di lavoro non rispettavano gli standard etici del marchio.
Wang Li Ping, imprenditore tessile a Prato e membro del direttivo locale dell’associazione delle PMI CNA, conosce il caso ma sottolinea: «Si ipotizza che il proprietario della fabbrica non conoscesse le leggi italiane». Per questo motivo, CNA offre corsi per gli imprenditori affinché apprendano la normativa sul lavoro. Tuttavia, aggiunge: «Solo poche aziende cinesi fanno parte di un’associazione italiana».
Grazie al supporto del sindacato di Francesca Ciuffi, diversi operai di ZProduction erano riusciti a ottenere nuovi contratti con condizioni migliori. Poco dopo, però, Zain e altri colleghi sono stati licenziati. Ora stanno cercando di far valere i propri diritti in tribunale con l’aiuto del sindacato, ma non è chiaro se avranno successo.
Prato è il più grande polo tessile d’Europa. Tuttavia, quasi nessun grande marchio possiede più fabbriche proprie.
L’industria tessile domina la città, come ha potuto constatare il team di 20 Minuten. Non è difficile trovare piccole officine nascoste nei cortili. Dall’esterno, nessun segnale le indica, ma il rumore incessante delle macchine da cucire tradisce la loro presenza. A volte, porte o finestre aperte permettono di dare un’occhiata all’interno, dove si lavora fino a tarda sera. In un capannone lungo una strada principale, ad esempio, alle 21:30 ci sono ancora molti operai intenti a cucire.
Vedendo le immagini, Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale di Campagna Abiti Puliti, non si sorprende: è molto probabile che si tratti di quei piccoli subappaltatori dove spesso le condizioni di lavoro sono di sfruttamento. A occuparsi dei controlli dovrebbe essere l’ispettorato del lavoro locale, ma è sottofinanziato e con poco personale. Il team di 20 Minuten ha provato a contattarlo via e-mail e telefono, ma non ha ricevuto alcuna risposta.