(2011) Le Iene per Abiti Puliti
Per chi se lo fosse perso, ecco il fantastico servizio delle Iene sulla sabbiatura dei jeans. Toccanti interviste agli addetti al sandblasting e un tentativo di parlare con Dolce & Gabbana e Cavalli finito piuttosto male...
(2011) Continua la campagna contro i killer jeans
Siamo a circa un anno dal lancio della campagna internazionale che ha spinto molte imprese a rivedere le loro politiche aziendali in relazione alla sabbiatura. Grazie a tutti voi, abbiamo registrato successi considerevoli ottenendo impegni specifici dai più grandi marchi della moda italiani e internazionali: Armani, Benetton, Bestseller, Burberry, C&A, Carrera Jeans, Charles Vögele, Esprit, Gucci, H&M, Levi-Strauss & Co., Mango, Metro , New Look, Pepe Jeans, Replay e Versace hanno via via annunciato la messa al bando del sandblasting dai loro stabilimenti. Per questo siamo fiduciosi rispetto alla reale possibilità di eliminare definitivamente i jeans sabbiati dal mercato.
Il percorso è ancora lungo e per essere credibile necessita di un'azione di monitoraggio che verifichi l'effettiva adozione di politiche aziendali di prevenzione del rischio in materia di salute e sicurezza lungo l'intera filiera produttiva. Senza dimenticare la necessità di risarcire i lavoratori che hanno contratto la malattia e di mettere in campo strategie che coinvolgono i sindacati locali e le ONG per sviluppare programmi di miglioramento con i lavoratori sul campo.
Inoltre ci sono ancora alcuni brand, come Dolce & Gabbana e Roberto Cavalli, che continuano a rifiutare il confronto con la Campagna Abiti Puliti. Un atteggiamento lontano dalla responsabilità di impresa che prevederebbe un immediata presa in carico del problema che riguarda migliaia di lavoratori a rischio.
Per questo la campagna non si arresta. Vi chiediamo di continuare a fare la vostra parte per sostenere la campagna internazionale per l’abolizione dei jeans sabbiati. Il vostro impegno è la nostra forza.
Firmate qui per richiamare Dolce & Gabbana alle sue responsabilità
e qui per tutte le altre aziende
(2011) REPORT - Quanti punti ha ottenuto il tuo marchio preferito?
«Nel contesto di crisi globale che stiamo attraversando, spesso sono i più deboli a pagare il conto più salato. E l’industria della moda è un ottimo esempio di questa tendenza». È questa la conclusione principale cui sono giunti Anna McMullen and Sam Maher redigendo la quinta edizione del report Let’s Clean Up Fashion 2011. The state of pay behind the UK high street.
«Nonostante il settore registri ancora enormi profitti, I salari di milioni di donne e uomini impiegati crollano costantemente. Questo vuol dire che migliaia di persone lottano quotidianamente per sopravvivere, per vestirsi, per avere un riparo. Questo stato di cose è ancora più deludente perché la maggior parte di questi rivenditori si sono impegnati a garantire un salario di sussistenza per i lavoratori delle loro catene di fornitura. Infatti, sono in corso molti progetti in tal senso da diversi anni ma, come la situazione reale sul terreno mostra, tali impegni non stanno fornendo i risultati sperati. Certo è che la ricerca disperata da parte dei brand di prezzi sempre più bassi per produrre, favorisce la nascita di un circolo vizioso, in cui gli stessi governi e lavoratori spesso sono disposti ad accettare violazioni dei propri diritti pur di non allontanare le imprese e continuare a lavorare.
Per questo è fondamentale che i brand si impegnino a pagare ai propri fornitori un prezzo sufficiente a garantire salari dignitosi a tutti i lavoratori. Facendolo fornirebbero un messaggio chiaro sull’importanza dei diritti al di là dei profitti».
Come risulta dal report, molte imprese suggeriscono che siano i lavoratori stessi a definire il salario minimo di sopravvivenza. Ma in molti casi i lavoratori già lo fanno; in Bangladesh, Cambogia, Lesotho e moltissimi altri luoghi si sono susseguite in questi anni manifestazioni che chiedevano aumenti salariali. Il risultato? Quando va bene vengono ignorati; altre volte perdono il posto, vengono arrestati e malmenati. Le aziende devono fare di più per garantire il rispetto dei diritti sindacali nel tentativo di fornire un salario di sussistenza per i lavoratori tessili. Finché questi diritti continuano ad essere violati da parte dei governi, dei datori di lavoro e dei marchi, i lavoratori saranno messi a tacere e sarà lasciata aperta la strada a uno sfruttamento sempre più selvaggio.
Il report, come sempre, fotografa egregiamente la situazione dei principali brand monitorati, fornendo un profilo dettagliato su ciascuno di loro e attribuendo un grado numerico per identificare velocemente lo stato di sviluppo dei loro progetti. Il confronto con i report degli anni passati è tutt’altro che incoraggiante: pur rilevando i progressi fatti da alcuni dei marchi coinvolti, la maggior parte di loro procede troppo lentamente.
«Nel 2011 il salario dignitoso nell’industria tessile resta un sogno lontano per molti lavoratori che producono i nostri abiti. È ora che i brand e i rivenditori smettano di parlare e inizino ad agire seriamente sui temi che contano davvero».
(2011) Chi è Somyot Pruksakasemsuk
Il 30 aprile 2011 Somyot Pruksakasemsuk è stato arrestato per la seconda volta in 12 mesi a causa della sua attività di giornalista.
È solo uno dei numerosi attivisti rinchiusi nella Bangkok Remand Prison per le loro attività democratiche svolte per le elezioni thailandesi di luglio. Loro sono convinti che le accuse siano state utilizzate per impedire ai gruppi di opposizione di partecipare liberamente alle consultazioni.
Ecco un'intervista a Somyot realizzata nel gennaio 2011
Il Thai National Human Rights Committee e Amnesty International si stanno occupando del “caso Somyot” e molti amici e colleghi hanno già inviato lettere al primo ministro thailandese chiedendone il rilascio. Attivati anche tu!
Somyot in questo momento sta lavorando come bibliotecario alla prigione di Bangkok. Puoi mandargli per posta o via email una pubblicazione o un’opera creativa, tua o di chiunque. Può essere un racconto, una fotografia o qualsiasi cosa pensi possa offrire un momento di distrazione per i detenuti della prigione.
Mandagli qualcosa a questo indirizzo mail thelibrarianofbangkokprison@yahoo.co.uk o via posta a
The Librarian
Somyot Pruksakasemsuk
Bangkok Remand Prison
33 Ngamvongvan Road,
Ladyao, Jatujak
Bangkok 10900
Fonte The Librarian of Bangkok Prison
(2011) Charles Hector costretto ad un accordo con l'azienda elettronica
Siamo sgomenti per l’esito dell’importante processo a carico del difensore dei diritti umani, avvocato e blogger Charles Hector. L’accordo che ha concluso il procedimento non rende giustizia al ruolo legittimo di attivisti per i diritti dei lavoratori, difensori dei diritti umani e bloggers che esprimono preoccupazioni per gli abusi aziendali.
Nel Febbraio 2011 Charles Hector è stato citato in giudizio dall’azienda di elettronica di proprietà giapponese Asahi Kosei, in Selangor, Malaysia, per aver pubblicato on-line informazioni riguardanti la violazione dei diritti di 31 migranti birmani impiegati presso quell’impresa. Asahi Kosei ha chiesto un risarcimento di $ 3,3 milioni, oltre a pubbliche scuse, sostenendo che i 31 lavoratori birmani non fossero sotto la sua responsabilità essendogli stati prestati da un ‘outsourcing agent’.
Il 25 agosto Charles Hector ha dovuto accettare un accordo con Asahi Kosei che prevede la pubblicazione di una mezza pagina di scuse su due quotidiani malesi e il pagamento di una cifra simbolica per spese e danni. Le scuse saranno pubblicate entro tre settimane dai giornali The Star e Nanyang Siang Pau.
Nonostante l’accordo, Asahi Konei ha poco di cui essere orgogliosa. Oltre all’ingiusto trattamento dei lavoratori migranti birmani, ci sono prove che non stia garantendo ai lavoratori le astensioni a cui hanno diritto, comprese le ferie annuali e il congedo di maternità.
La posizione dei lavoratori “outsourced”, in particolare dei migranti, in Malaysia è molto precaria. I fornitori malesi, i loro clienti internazionali e il governo malese devono rispettare e proteggere i diritti dei lavoratori, in particolare quelli dei gruppi più vulnerabili, e mostrare il dovuto impegno nell’affrontare e risolvere le questioni dei diritti dei lavoratori. Nel caso in questione tutte le parti non sono riuscite a mostrare responsabilità.
Per approfondimenti: http://goodelectronics.org/news-en/human-rights-defender-made-to-accept-settlement-with-electronics-company/ e www.indefenceofcharleshector.blogspot.com (anche per dettagli su come supportare la raccolta fondi per le spese legali di Charles Hector)
(2011) Charles Hector costretto ad un accordo con l'azienda elettronica
Siamo sgomenti per l’esito dell’importante processo a carico del difensore dei diritti umani, avvocato e blogger Charles Hector. L’accordo che ha concluso il procedimento non rende giustizia al ruolo legittimo di attivisti per i diritti dei lavoratori, difensori dei diritti umani e bloggers che esprimono preoccupazioni per gli abusi aziendali.
Nel Febbraio 2011 Charles Hector è stato citato in giudizio dall’azienda di elettronica di proprietà giapponese Asahi Kosei, in Selangor, Malaysia, per aver pubblicato on-line informazioni riguardanti la violazione dei diritti di 31 migranti birmani impiegati presso quell’impresa. Asahi Kosei ha chiesto un risarcimento di $ 3,3 milioni, oltre a pubbliche scuse, sostenendo che i 31 lavoratori birmani non fossero sotto la sua responsabilità essendogli stati prestati da un ‘outsourcing agent’.
Il 25 agosto Charles Hector ha dovuto accettare un accordo con Asahi Kosei che prevede la pubblicazione di una mezza pagina di scuse su due quotidiani malesi e il pagamento di una cifra simbolica per spese e danni. Le scuse saranno pubblicate entro tre settimane dai giornali The Star e Nanyang Siang Pau.
Nonostante l’accordo, Asahi Konei ha poco di cui essere orgogliosa. Oltre all’ingiusto trattamento dei lavoratori migranti birmani, ci sono prove che non stia garantendo ai lavoratori le astensioni a cui hanno diritto, comprese le ferie annuali e il congedo di maternità.
La posizione dei lavoratori “outsourced”, in particolare dei migranti, in Malaysia è molto precaria. I fornitori malesi, i loro clienti internazionali e il governo malese devono rispettare e proteggere i diritti dei lavoratori, in particolare quelli dei gruppi più vulnerabili, e mostrare il dovuto impegno nell’affrontare e risolvere le questioni dei diritti dei lavoratori. Nel caso in questione tutte le parti non sono riuscite a mostrare responsabilità.
Per approfondimenti: http://goodelectronics.org/news-en/human-rights-defender-made-to-accept-settlement-with-electronics-company/ e www.indefenceofcharleshector.blogspot.com (anche per dettagli su come supportare la raccolta fondi per le spese legali di Charles Hector)
(2011) Un'altra vittoria: Armani abbandona il sandblasting
La campagna per l'abolizione del sandblasting portata avanti dalla Clean Clothes Campaign ha conseguito un nuovo e importante risultato ottenendo l'impegno ufficiale della nota azienda tessile Armani ad annunciare la messa al bando della tecnica del sandblasting per la produzione dei suoi jeans. L'azienda ne ha dato comunicazione attraverso la sua pagina ufficiale facebook e subito è stata sommersa di commenti positivi.
Negli scorsi mesi gli attivisti di Abiti Puliti avevano chiesto al brand, attraverso post su Facebook e una petizione su Change.org, di prendere una posizione esplicita contro il sandblasting annunciandone l'abolizione dalla sua catena di fornitura.
Dall’inizio della campagna nel 2010 produttori come Benetton, Bestseller, Burberry, C&A, Carrera Jeans, Charles Vögele, Esprit, Gucci, H&M, Levi-Strauss & Co., Mango, Metro , New Look, Pepe Jeans, Replay e recentemente Versace hanno via via annunciato la messa al bando del sandblasting dai loro stabilimenti. La Clean Clothes Campaign saluta con piacere la decisione di Armani di unirsi agli altri marchi e si impegna a supportare l'azienda nel percorso di eliminazione della tecnica e di monitoraggio della catena di fornitori.
(2011) Alla larga da quei jeans
Agosto 2011 - Diritti dei lavoratori negati, poco rispetto per l'ambiente, chimica nei tessuti. L'etica scolorita delle maggiori griffe. Pubblichiamo l'inchiesta condotta da Altroconsumo con un intervista a Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti sulla campagna per l'abolizione della sabbiatura dei jeans.
(2011) Anche Dolce & Gabbana sceglie la strada della censura
La casa di moda italiana Dolce & Gabbana ha cancellato dalla sua bacheca Facebook i messaggi lasciati da alcuni attivisti che chiedevano all'azienda di mettere al bando il sandblasting, la tecnica usata per dare ai jeans un look "usurato e logoro" particolarmente pericolosa per i lavoratori. La stessa cosa aveva fatto qualche tempo fa anche Versace, salvo poi tornare sui suoi passi e decidere saggiamente di aderire alla abolizione della sabbiatura.
Più di 30mila attivisti europei e americani hanno già sottoscritto la petizione lanciata sul Change.org per chiedere un'azione concreta all'azienda. Ci aspettiamo una reazione immediata da parte del brand per cancellare definitivamente questa pratica mortale dalla sua filiera di produzione.
(2011) Fermiamo i jeans che uccidono di Dolce & Gabbana e Armani
La situazione
La sabbiatura, utilizzata per dare ai jeans un look usato e “logoro”, è nota per essere letale per gli operatori del tessile in paesi come il Bangladesh e la Turchia, dove tale tecnica viene eseguita manualemente.
La sabbia viene sparata con compressori ad alta pressione sui jeans, diffondendo polveri nell’ambiente ed esponendo i lavoratori alla silice e quindi al rischio di ammalarsi di silicosi. Alla fine, i lavoratori muoiono perché non riescono più a respirare.
La soluzione
Dolce & Gabbana e Armani devono seguire i passi fatti dagli altri marchi tra cui Versace, Levi’s, H&M, C&A e Gucci e mettere al bando pubblicamente il sandblasting nella loro catena di fornitura.
Abbiamo appena ottenuto che Versace abolisse il sandblasting grazie al vostro grande sforzo, ora facciamo in modo che Dolce & Gabbana e Armani siano i prossimi!
Cosa puoi fare tu
Lascia un messaggio sulla bacheca della pagina Facebook di Dolce & Gabbana (la prima o la seconda) e su quella di Armani chiedendogli di eliminare il sandblasting dalla loro produzione. Ricordati che dovrai cliccare “mi piace” sulla fan page per lasciare un commento, ma che potrai in qualsiasi momento cliccare su “non mi piace più” per annullare la preferenza.
Puoi scrivere un tuo messaggio o, per comodità, copiare e incollare questo:
Killing workers isn’t sexy. Please ban sandblasting because there is no need for someone to die to make good looking jeans. http://www.change.org/petitions/dolce-gabbana-stop-the-killer-jeans
(Uccidere i lavoratori non è sexy. Per favore abolite il sandblasting perché non c’è nessun bisogno che qualcuno muoia per fabbricare jeans alla moda. http://www.change.org/petitions/dolce-gabbana-stop-the-killer-jeans)
(2011) Somyot davanti alla corte per lesa maestà. Prossima udienza il 12 settembre
Lunedì scorso 25 luglio, dopo 84 giorni di detenzione, Somyot Pruksakasemsuk è stato condotto dinnanzi al tribunale penale per ascoltare le accuse che gli vengono rivolte dal pubblico ministero. Tali accuse si riferiscono a degli articoli scritti sotto il nome di Jitra Polchan e pubblicati sul magazine “Voice of Thaksin” nel febbraio e marzo 2010. Somyot è stato un redattore di questa rivista finché non è stata chiusa lo scorso anno. Somyot è stato accusato per la pubblicazione e la distribuzione della rivista contenete gli articoli, presumibilmente in violazione della norma di lesa maestà.
La corte ha fissato per lunedì 12 settembre 2011 l’audizione pre-processuale. Secondo casi passati di accuse di lesa maestà, Somyot rischia 6 anni di carcere se si dichiara colpevole e 12 se si dichiara non colpevole. Il suo avvocato presenterà un’altra richiesta di cauzione la prossima settimana.
(2011) Somyot davanti alla corte per lesa maestà. Prossima udienza il 12 settembre
Lunedì scorso 25 luglio, dopo 84 giorni di detenzione, Somyot Pruksakasemsuk è stato condotto dinnanzi al tribunale penale per ascoltare le accuse che gli vengono rivolte dal pubblico ministero. Tali accuse si riferiscono a degli articoli scritti sotto il nome di Jitra Polchan e pubblicati sul magazine “Voice of Thaksin” nel febbraio e marzo 2010. Somyot è stato un redattore di questa rivista finché non è stata chiusa lo scorso anno. Somyot è stato accusato per la pubblicazione e la distribuzione della rivista contenete gli articoli, presumibilmente in violazione della norma di lesa maestà.
La corte ha fissato per lunedì 12 settembre 2011 l’audizione pre-processuale. Secondo casi passati di accuse di lesa maestà, Somyot rischia 6 anni di carcere se si dichiara colpevole e 12 se si dichiara non colpevole. Il suo avvocato presenterà un’altra richiesta di cauzione la prossima settimana.
(2011) REPORT - Adidas, Rebook, Puma e tanti altri. Lo sfruttamento in El Salvador
Nel gennaio 2010, dopo 9 mesi di inchiesta, l’Institute for Global Labour and Human Rights e l’organizzazione salvadoregna Mujeres Transformando pubblicarono un rapporto sulle condizioni di lavoro e sugli abusi commessi nella fabbrica tessile Ocean Sky in El Salvador , controllata dalla Ocean Sky International LTD con sede in Singapore. Il rapporto e molte lettere di pressione che chiedevano la fine delle violazioni furono mandate a Ocean Sky, al Ministro del Lavoro di El Salvador e a tutte le aziende committenti. Molte cose da allora sono cambiate, ma purtroppo le violazioni continuano.
Adidas, Rebook, Puma Columbia, Perry Ellis e Gap lanciarono una loro inchiesta, mandando delle delegazioni a parlare con il management di Ocean Sky e a monitorare la situazione.
Il Ministro del Lavoro disse pubblicamente che c’erano”forti segnali che qualcosa fosse sbagliato” alla Ocean Sky e ordinò due settimane di incontri con l’azienda, che si svolsero nel Febbraio 2011.
Mujeres Transformando e l’Institute lavorarono tutto il tempo per mantenere informati i lavoratori sugli sviluppi della vicenda, consegnando volantini all’uscita della fabbrica e istituendo un numero d’emergenza a cui i lavoratori potevano rivolgersi per segnalare problemi sul posto di lavoro. Attraverso questo numero i lavoratori riportarono commenti del tipo:
- Il 100% di quello che avete scritto nel rapporto è vero
- Da Febbraio ci lasciano uscire dalla fabbrica per pranzare: è insalubre stare chiusi tutto il giorno nell’azienda. Fuori possiamo comprare cibo migliore e più economico, porzioni più grandi e possiamo respirare una boccata d’aria fresca
- Continuiamo a sudare, ma non come prima; senza urla e pressioni e con maggiore aria fresca lavoriamo un po’ meglio, sebbene le paghe siano ancora molto basse.
Sempre nel Febbraio il management dichiarò che nessuna rappresaglia sarebbe stata intrapresa nei confronti dei lavoratori che avevano partecipato all’inchiesta. Inoltre gli acquirenti della Ocean Sky assicurarono che qualsiasi lavoratore licenziato ingiustamente a causa del rapporto sarebbe stato reintegrato immediatamente.
Le finestre precedentemente sigillate furono riaperte, le uscite ostruite con delle scatole furono liberate e furono installate nuove ventole per l’areazione: secondo i lavoratori, questi cambiamenti migliorarono la qualità dell’aria e ridussero le temperature.
Secondo la dirigenza, infine, Ocean Sky avrebbe rivisitato i contratti per eliminare quelle voci (illegali) che rendevano gli straordinari obbligatori, chiedendo ai lavoratori di sottoscrivere nuovi contratti approvati dal ministero del lavoro.
Ebbene, sono passati solo 4 mesi dall’intesa raggiunta il Marzo scorso tra l’azienda, i marchi e le organizzazioni e gli abusi sono ricominciati.
L’Institute e Mujeres Transformando hanno ricevuto nuove visite e nuove telefonate da parte dei lavoratori che denunciano abusi e maltrattamenti. I sorveglianti gli urlano frasi tipo “Non vali niente!” o “smettila di scaldare la sedia e lavora più velocemente!” e li minacciano avvertendoli che “scopriranno chi sta passando informazioni sull’azienda” . Li insultano dicendogli che “sono degli ingrati” e che “l’azienda gli sta dando un lavoro per mangiare e loro non l’apprezzano”.
I lavoratori hanno fornito i nomi dei sorveglianti che li insultano verbalmente: Estela del Carmen Alfaro, Fredy, Isabel, Virginia and William Tung. Queste persone stanno abusando del loro potere e stanno creando un clima di paura e intimidazione nella fabbrica.
Infine anche i marchi sembrano disattendere le loro promesse. Le organizzazioni, infatti, denunciano di essere state informate che alcuni lavoratori (ad esempio quelli che cuciono i prodotti Puma) continuano a lavorare 15 ore e 45 minuti al giorno, due o tre volte a settimana, per completare gli ordini delle case madri. Spesso i lavoratori finiscono i loro turni giornalieri alle 22 e 30, obbligati a fare straordinari notturni nonostante i magri salari pagati.
Si aspetta una presa di posizione chiara e definitiva da parte di Ocean Sky e delle aziende commitenti.
(2011) Ce l'abbiamo fatta: anche Versace rinuncia al sandblasting
Una lunga campagna della Clean Clothes Campaign, recentemente intensificata tramite Facebook e una petizione lanciata in rete attraverso la piattaforma Change.org, ha portato la nota azienda tessile Versace ad annunciare la messa al bando della tecnica del sandblasting per la produzione dei suoi jeans.
La scorsa settimana il brand aveva inibito la possibilità per i suoi fan di lasciare post sulla sua pagina Facebook reagendo all'iniziativa di alcuni attivisti di Abiti Puliti che chiedevano l'abolizione della sabbiatura. Poi le oltre mille firme raccolte dalla petizione. Ieri, infine, l'annuncio tanto atteso.
Già altri produttori di denim nel mondo avevano accettato di eliminare questa tecnica utilizzata per dare al jeans un look usurato e sbiancato. Dopo molti mesi di silenzio, Versace si dice ora d'accordo nel considerare inaccettabili i rischi per la salute che gli operatori addetti a questo tipo di finitura corrono quotidianamente. In precedenza l'azienda si era rifiutata di aderire alla campagna e di rilasciare dettagli sulle sue produzioni. Oggi, pur non rinunciando al denim schiarito, si impegna ad utilizzare tecniche alternative e sicure per la salute dei lavoratori.
I jeans sabbiati, del resto, rappresentano un'ottima fonte di guadagno per le aziende che li producono, visto che spesso sono venduti a prezzi significativamente più alti rispetto ai jeans normali; il problema è rappresentato dai costi nascosti che il sandblasting porta con se: gli operatori di questa tecnica, che lavorano nei paesi in cui molti dei nostri abiti sono prodotti – come il Bangladesh, la Cina, il Messico, l'Egitto – contraggono una forma acuta di silicosi spesso letale. A causa delle difficoltà evidenti nel monitorare tutta la catena di fornitura e viste le conseguenze fatali del sandblasting, chiediamo a tutte le aziende tessili di eliminare i denim sabbiati dalle loro produzioni.
Dall’inizio della campagna nel 2010 produttori come Benetton, Bestseller, Burberry, C&A, Carrera Jeans, Charles Vögele, Esprit, Gucci, H&M, Levi-Strauss & Co., Mango, Metro , New Look, Pepe Jeans e Replay hanno via via annunciato la messa al bando del sandblasting dai loro stabilimenti. La Clean Clothes Campaign saluta con piacere la decisione di Versace di unirsi agli altri marchi e si impegna a supportare l'azienda nel percorso di eliminazione della tecnica e di monitoraggio della catena di fornitori.
(2011) REPORT - Negozi di abiti inglesi sfruttano le donne
Migliaia di donne impegnate nella produzione di vestiti per marchi UK lavorano 14 ore al giorno in Bangladesh per paghe da fame.
Questa accusa è stata diffusa da War on Want in una nuova inchiesta partita quando il giornale People ha pubblicato la notizia che i lavoratori bengalesi di uno dei marchi preferiti da Kate Middleton, Zara, fossero pagati meno di 6 pound all’ora per i turni di notte.
I ricercatori di War on Want hanno intervistato 1000 donne che lavorano per 41 industrie fornitrici di distributori occidentali, molti dei quali inglesi.
Circa l’85% dei lavoratori tessili bengalesi sono donne.
La ricerca ha mostrato che la maggior parte degli abiti provenienti dal Bangladesh e venduti in UK sono fatti da donne tra i 18 e i 32 anni – la stessa età di molte delle donne inglesi che li acquistano – che lottano per sopravvivere con paghe e condizioni disumane. Le paghe delle addette alla cucitura partono da soli 3861 taka (36 euro) al mese e quelle delle aiutanti da 3000 taka (28 euro) al mese. Le donne intervistate hanno dichiarato che la spesa media delle famiglie per i bisogni primari, come cibo e casa, è di circa 8896 taka (84 euro) al mese.
Otto donne su dieci tra quelle intervistate hanno riferito di lavorare dalle 12 alle 14 ore al giorno – a volte anche 16 – per raggiungere gli obiettivi di produzione senza che gli venga pagato straordinario alcuno.
Sette donne su dieci hanno raccontato come siano costrette a lavorare anche quando incinte, mettendo in pericolo la vita dei loro bambini oltre che la loro, e una simile percentuale si lamentava di non aver avuto dal proprio datore di lavoro nemmeno il congedo di maternità. Nonostante la legge bengalese obblighi le industrie con oltre 40 dipendenti donne a garantire strutture per bambini, tre donne su cinque intervistate hanno detto che le loro aziende non hanno rispettato questa norma. Così molte di loro sono state costrette a mandare i loro bambini via dalle loro città per essere accuditi dai nonni, spesso in lontane zone rurali.
Rivenditori di fama mondiale – tra cui Zara, Gap, Marks & Spencer, Monsoon Accessorize, New Look, Primark, River Island e Tesco – si sono impegnati a rispettare un codice di condotta con l’ Ethical Trading Initiative che prevede che i lavoratori dei propri fornitori guadagnino uno stipendio dignitoso, non lavorino più di 48 ore a settimana e non siano maltrattati.
Il report, Stitched Up, è supportato dal National Federation of Women’s Institutes. Un nuovo sondaggio mostra che i membri del WI, il più grande gruppo inglese di volontarie , sono convinti che i rivenditori e il governo inglese debbano assicurare un giusto salario per i lavoratori esteri del tessile. Il 95% dei 4700 membri contattati pensa sia importante che le persone che producono i vestiti che loro comprano abbiano una vita dignitosa e decenti condizioni di lavoro. Circa l’85% di loro sono molto più propense a comprare vestiti da una azienda se sanno che sono prodotti rispettando i diritti dei lavoratori. E il 77% dice che tutti i rivenditori dovrebbero impegnarsi a comprare abiti da chi paga ai lavoratori un giusto salario.
Articolo tratto e tradotto da War on Want
(2011) Chi è Somyot Pruksakasemsuk
Il 30 aprile 2011 Somyot Pruksakasemsuk è stato arrestato per la seconda volta in 12 mesi a causa della sua attività di giornalista. È solo uno dei numerosi attivisti rinchiusi nella Bangkok Remand Prison per le loro attività democratiche svolte per le elezioni thailandesi di luglio. Loro sono convinti che le accuse siano state utilizzate per impedire ai gruppi di opposizione di partecipare liberamente alle consultazioni.
Ecco un'intervista a Somyot realizzata nel gennaio 2011
Il Thai National Human Rights Committee e Amnesty International si stanno occupando del “caso Somyot” e molti amici e colleghi hanno già inviato lettere al primo ministro thailandese chiedendone il rilascio. Attivati anche tu!
Somyot in questo momento sta lavorando come bibliotecario alla prigione di Bangkok. Puoi mandargli per posta o via email una pubblicazione o un’opera creativa, tua o di chiunque. Può essere un racconto, una fotografia o qualsiasi cosa pensi possa offrire un momento di distrazione per i detenuti della prigione.
Mandagli qualcosa a questo indirizzo mail thelibrarianofbangkokprison@yahoo.co.uk o via posta a
The Librarian
Somyot Pruksakasemsuk
Bangkok Remand Prison
33 Ngamvongvan Road,
Ladyao, Jatujak
Bangkok 10900
Fonte The Librarian of Bangkok Prison
(2011) Chi è Somyot Pruksakasemsuk
Il 30 aprile 2011 Somyot Pruksakasemsuk è stato arrestato per la seconda volta in 12 mesi a causa della sua attività di giornalista. È solo uno dei numerosi attivisti rinchiusi nella Bangkok Remand Prison per le loro attività democratiche svolte per le elezioni thailandesi di luglio. Loro sono convinti che le accuse siano state utilizzate per impedire ai gruppi di opposizione di partecipare liberamente alle consultazioni.
Ecco un'intervista a Somyot realizzata nel gennaio 2011
Il Thai National Human Rights Committee e Amnesty International si stanno occupando del “caso Somyot” e molti amici e colleghi hanno già inviato lettere al primo ministro thailandese chiedendone il rilascio. Attivati anche tu!
Somyot in questo momento sta lavorando come bibliotecario alla prigione di Bangkok. Puoi mandargli per posta o via email una pubblicazione o un’opera creativa, tua o di chiunque. Può essere un racconto, una fotografia o qualsiasi cosa pensi possa offrire un momento di distrazione per i detenuti della prigione.
Mandagli qualcosa a questo indirizzo mail thelibrarianofbangkokprison@yahoo.co.uk o via posta a
The Librarian
Somyot Pruksakasemsuk
Bangkok Remand Prison
33 Ngamvongvan Road,
Ladyao, Jatujak
Bangkok 10900
Fonte The Librarian of Bangkok Prison
(2011) Free Somyot! Messaggio urgente al governo thailandese prima del 24 luglio
La Thailandia ha un nuovo governo dal 3 luglio ed è fondamentle che il caso di Somyot venga posto all'attenzione del nuovo Primo Ministro prima del 24 luglio 2011, termine ultimo per l'incriminazione. Entro quella data l'accusa deve sottoporre il caso alla corte e se non ci riuscisse Somyot dovrebbe essere rilasciato immediatamente. Se, al contrario, il caso fosse portato avanti, Somyot rimarrebbe probabilmente in carcere per almeno altri 2 anni.
Per favore attivati ora.
Puoi mandare lettere all'Ambasciata Thailandese Italiana. Questi sono i contatti:
Royal Thai Embassy Via Nomentana132, 00162 Rome
Tel. +39(06)86220525-27(consular section), +39(06)8622-051
Fax. +39(06) 8622 0529
Email: thai.em.rome@wind.it.net
Per maggiori informazioni e per altri modi per supportare Somyot:
http://freesomyot.wordpress.com
(2011) Versace censura gli attivisti della CCC su Facebook
La casa di moda Versace ha disattivato sulla sua pagina facebook la possibilità per i suoi fan di aggiungere post dopo che alcuni attivisti della Clean Clothes Campaign avevano lasciato decine di messaggi chiedendo che l'azienda abbandonasse il sandblasting, altamente pericoloso per i lavoratori, come tecnica per dare ai loro jeans un look “usurato”.
Il processo prevede che i lavoratori sparino la sabbia ad alta pressione verso i jeans. La polvere entra poi nell'ambiente, esponendo i lavoratori alla silice, che provoca la silicosi nei polmoni. Alla fine, i lavoratori muoiono perché non riescono a respirare più correttamente. Non c'è cura conosciuta.
Alcune grandi marche, come la Levi's, H&M, C&A e Gucci, hanno già abolito i jeans sabbiati nelle loro collezioni. Versace, invece, è tra coloro che ancora non hanno fatto nulla nonostante i ripetuti richiami dei gruppi internazionali che si occupano di tutelare i diritti dei lavoratori, tra cui la Clean Clothes Campaign.
Su Change.org, la piattaforma in rapida crescita che intende dar voce alle istanze che riguardano il mondo del sociale, è stata lanciata una campagna per chiedere a Versace l’abbandono del sandblasting e centinaia di cittadini europei e americani hanno già aderito firmando la petizione.
“Quello che è accaduto è molto grave” ha detto Meredith Slater, un’organizzatrice della campagna su Change.org. “I clienti di Versace hanno richiamato la casa di moda semplicemente a seguire il percorso già intrapreso da altri e a mettere fine a un serio pericolo per i suoi lavoratori. Invece di controbattere nel merito della questione, l'azienda ha deciso di censurare ogni voce critica”.
(2011) Difensore dei migranti rischia il processo
Il processo contro il difensore dei diritti umani e attivista Charles Hector è ormai vicino e nessuna delle aziende coinvolte ha fatto la cosa giusta. Molti di voi hanno già risposto al nostro appello di scrivere alla Hitachi, che si rifornisce presso la società di elettronica Asahi Kosei in Malesia. La Asahi Kosei ha denuciato Charles Hector per impedirgli di scrivere circa le minacce ricevute da 31 lavoratori migranti che lamentavano deduzioni salariali sproporzionate e la mancanza di congedo per malattia. In risposta ai loro reclami sono stati minacciati presso il loro ostello, e quattro sono stati subito portati all'aeroporto per essere allontanati.
Firmate la petizione verso Ford, General Motors, Chrysler, Volkswagen, Hitachi, Sony e Toshiba
Charles Hector rischia una sanzione scandalosa di circa 2,3 milioni di euro e l’impedimento a pubblicare qualsiasi informazione circa i lavoratori migranti alla Asahi Kosei. Nonostante migliaia di email inviate alla Hitachi, l’azienda non ha risposto né ha fatto pressione sui suoi fornitori per il ritiro della denuncia.
Molti di voi hanno già risposto al nostro appello di scrivere alla Hitachi, che si rifornisce presso la società di elettronica Asahi Kosei in Malesia. La Asahi Kosei ha denuciato Charles Hector per impedirgli di scrivere circa le minacce ricevute da 31 lavoratori migranti che lamentavano deduzioni salariali sproporzionate e la mancanza di congedo per malattia. In risposta ai loro reclami sono stati minacciati presso il loro ostello, e quattro sono stati
subito portati all'aeroporto per essere allontanati.
Charles Hector rischia una sanzione scandalosa di circa 2,3 milioni di euro e l’impedimento a pubblicare qualsiasi informazione circa i lavoratori migranti alla Asahi Kosei. Nonostante migliaia di email inviate alla Hitachi, l’azienda non ha risposto né ha fatto pressione sui suoi fornitori per il ritiro della denuncia.
Continuate a fare pressione sui fornitori contattando tutti i clienti della Asahi Kosei
Firmate la petizione verso Ford, General Motors, Chrysler, Volkswagen, Hitachi, Sony e Toshiba
La prossima udienza è fissata per il 10 Giugno mentre il processo per il 28/29 giugno perciò è necessaria una azione immediata da parte degli acquirenti per fermare il procedimento.
Finora il giudice sembra non riconoscere a Charles Hector i diritti spettanti come difensore dei diritti umani e ci sono serie preoccupazioni sulla possibilità che i 31 lavoratori migranti vengano ammessi come parti in causa così da proteggerli dalla possibile espulsione. I cinque lavoratori che sono disposti a testimoniare sulle condizioni di lavoro in Asahi Kosei, corrono il rischio reale di perdere i loro visti per il lavoro, e di conseguenza di fronteggiare un possibile arresto, la detenzione e la deportazione in Birmania.
(2011) Difensore dei migranti rischia il processo
Molti di voi hanno già risposto al nostro appello di scrivere alla Hitachi, che si rifornisce presso la società di elettronica Asahi Kosei in Malesia. La Asahi Kosei ha denuciato Charles Hector per impedirgli di scrivere circa le minacce ricevute da 31 lavoratori migranti che lamentavano deduzioni salariali sproporzionate e la mancanza di congedo per malattia. In risposta ai loro reclami sono stati minacciati presso il loro ostello, e quattro sono stati
subito portati all'aeroporto per essere allontanati.
Charles Hector rischia una sanzione scandalosa di circa 2,3 milioni di euro e l’impedimento a pubblicare qualsiasi informazione circa i lavoratori migranti alla Asahi Kosei. Nonostante migliaia di email inviate alla Hitachi, l’azienda non ha risposto né ha fatto pressione sui suoi fornitori per il ritiro della denuncia.
Continuate a fare pressione sui fornitori contattando tutti i clienti della Asahi Kosei
Firmate la petizione verso Ford, General Motors, Chrysler, Volkswagen, Hitachi, Sony e Toshiba
La prossima udienza è fissata per il 10 Giugno mentre il processo per il 28/29 giugno perciò è necessaria una azione immediata da parte degli acquirenti per fermare il procedimento.
Finora il giudice sembra non riconoscere a Charles Hector i diritti spettanti come difensore dei diritti umani e ci sono serie preoccupazioni sulla possibilità che i 31 lavoratori migranti vengano ammessi come parti in causa così da proteggerli dalla possibile espulsione. I cinque lavoratori che sono disposti a testimoniare sulle condizioni di lavoro in Asahi Kosei, corrono il rischio reale di perdere i loro visti per il lavoro, e di conseguenza di fronteggiare un possibile arresto, la detenzione e la deportazione in Birmania.
(2011) Firmato storico accordo a Giacarta
08 GIUGNO 2011 - Il patto è stato firmato tra i sindacati indonesiani del settore tessile, abbigliamento e calzature, i principali fornitori e i marchi sportivi più importanti tra cui Adidas, Nike e Puma. Un discorso programmatico è stato pronunciato dal Sig. Muji Handoyo, Direttore Generale dell’Ispettorato del lavoro che ha espresso il suo apprezzamento per gli sforzi delle parti per garantire il rispetto della libertà di associazione sindacale.
I lavoratori in Indonesia, come negli altri paesi che producono abbigliamento sportivo sono spesso ostacolati nella la legittima attività di organizzare e svolgere attività sindacali nelle fabbriche dei fornitori dei grandi marchi internazionali. Una recente ricerca che ha coinvolto 18 fabbriche in Indonesia ha messo in evidenza che in tutte sono state assunte misure anti-sindacali (1).
"Questo protocollo è importante perché la legge nazionale non contempla misure per l'attuazione tecnica della libertà di associazione. Esso garantisce anche che i marchi internazionali si assumano la responsabilità di garantire il rispetto dei diritti sindacali ", afferma Lilis Mahmudah, capo del programma per la SPN. "I nostri iscritti aspettavano la chiusura di questo accordo. Ci aiuterà nel nostro faticoso lavoro di contrattazione ", aggiunge Emelia Yanti, Segretario Generale della GSBI (2).
L'accordo di ieri è stato possibile grazie alla campagna Play Fair che dal 2004 fa pressione sui marchi di abbigliamento sportivo a livello mondiale perchè mettano in campo misure concrete per migliorare le condizioni di lavoro nelle catene di fornitura. Alla firma dell’accordo in rappresentanza della campagna erano presenti Oxfam Australia, l’International Textile, Garment and Leather Workers’ Federation e la Clean Clothes Campaign.
"La firma di questo protocollo è un primo passo importante per migliorare la situazione di centinaia di migliaia di lavoratori del settore sportivo costretta lavorare per bassi salari e in pessime condizioni", dichiara Jeroen Merk della CCC. "La vera prova, tuttavia, sarà l’effettiva attuazione", aggiunge Ashling Seely dell’ITGLWF.
Nella corsa per le Olimpiadi del 2012 di Londra, la campagna Play Fair incoraggerà altri marchi dell’abbigliamento sportivo a sottoscrivere il protocollo.
Scarica il protocollo sulla libertà di associazione sindacale (in inglese)
(1) Scaricate il rapporto (in inglese)
(2) SPN e GSBI sono due dei sindacati indonesiani che hanno negoziato e sottoscritto il protocollo. Gli altri sindacati coinvolti sono stati Garteks, KASBI e F. PTSPK.
* La campagna Play Fair è composta da molte organizzazioni e sindacati per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori in relazione ai mega eventi sportivi. Play Fair è una campagna globale e coordinata dalle federazioni sindacali internazionali e delle ONG, vale a dire dall’International Trades Union Federation (ITUC), l’International Textile, Garment and Leather Workers’ Federation (ITGLWF), il Building and Wood Workers’ International (BWI) e la Clean Clothes Campaign (CCC) con il sostegno di Oxfam Australia e del Maquila Solidarity Network.La campagna invita coloro che organizzano e traggono profitti da manifestazioni sportive ad adottare misure specifiche per garantire che i lavoratori impiegati non siano sfruttati e che le norme internazionali del lavoro siano rispettate nei luoghi di lavoro così come allo stadio. Il primo atto formale della campagna Play Fair è stata lanciato in occasione delle Olimpiadi del 2004 tenutesi ad Atene. I negoziati in corso in Indonesia che hanno sviluppato il protocollo sono il frutto del confronto successivo alle Olimpiadi di Pechino 2008. Per maggiori informazioni visitate il sito
(2011) Walmart intervenga per fare cessare i processi contro il BCWS
Pressione su Walmart per rimuovere le false accuse contro i sostenitori dei diritti del lavoro in Bangladesh
31 MAGGIO 2011 - Recentemente il giudice incaricato per la causa intentata contro Kalpona Akter e Babul Akhter del Bangladesh Workers Solidarity Center (BCWS) e altri leader sindacali, ha disposto la comparizione degli imputati in tribunale per il mese prossimo, secondo una procedura mirata al rito abbreviato. Nell'estate del 2010 diversi imprenditori proprietari di aziende che riforniscono importanti distributori internazionali come Walmart, H&M e Carrefour, avevano prodotto false accuse penali contro i lavoratori e i dirigenti sindacali a seguito delle gigantesche proteste salariali verificatesi nel paese. Tutte le accuse comportano pene che vanno da tre mesi a dieci anni e fino al carcere a vita. Alcune delle accuse sono punibili con la morte.
Kalpona Akter incontra gli azionisti di Walmart
Quell'estate Kalpona Akter e Babul Akhter trascorsero 30 giorni in carcere, durante i quali vennero minacciati e torturati. Aminul Islam, uno dei membri del BCWS fu anche imprigionato e picchiato da funzionari della sicurezza nazionale. Tutti e tre sono ora liberi su cauzione ma le false accuse contro di loro restano in piedi in 11 denunce spiccate da diverse aziende tra cui la Nassa, uno dei principali fornitori di Walmart. Centinaia di lavoratori e attivisti stanno fronteggiando processi, tra questi Mushrefa Mishu del Garment Workers Unity Forum, arrestata e detenuta per più di 4 mesi e che soffre ancora di problemi di salute per i maltrattamenti della polizia.
In qualità di maggiore acquirente di abbigliamento prodotto in Bangladesh, la statunitense Walmart ha il potere di garantire che i lavoratori tessili del Bangladesh, di fronte a salari da fame e condizioni deprecabili possano difendere i loro diritti senza rischiare molestie, arresti e torture. Anche se Walmart ha dichiarato che il suo fornitore Nassa ha già ritirato le accuse, ciò non è accaduto.
Chiedi a Walmart di comunicare ai fornitori che le denunce e le false accuse contro Kalpona Akter, Babul Akhter, Aminul Islam e gli altri dirigenti sindacali vanno ritirate, che la polizia e i funzionari responsabili per le torture e i maltrattamenti vanno indagati e ritenuti responsabili per quanto commesso e che i difensori dei diritti del lavoro come il Centro di solidarietà dei Lavoratori del Bangladesh devono essere autorizzati ad operare liberamente.
Vi preghiamo di firmate la petizione e di diffondere il più possibile questo appello
(2011) Walmart intervenga per fare cessare i processi contro il BCWS
Recentemente il giudice incaricato per la causa intentata contro Kalpona Akter e Babul Akhter del Bangladesh Workers Solidarity Center (BCWS) e altri leader sindacali, ha disposto la comparizione degli imputati in tribunale per il mese prossimo, secondo una procedura mirata al rito abbreviato. Nell'estate del 2010 diversi imprenditori proprietari di aziende che riforniscono importanti distributori internazionali come Walmart, H&M e Carrefour, avevano prodotto false accuse penali contro i lavoratori e i dirigenti sindacali a seguito delle gigantesche proteste salariali verificatesi nel paese. Tutte le accuse comportano pene che vanno da tre mesi a dieci anni e fino al carcere a vita. Alcune delle accuse sono punibili con la morte.
Quell'estate Kalpona Akter e Babul Akhter trascorsero 30 giorni in carcere, durante i quali vennero minacciati e torturati. Aminul Islam, uno dei membri del BCWS fu anche imprigionato e picchiato da funzionari della sicurezza nazionale. Tutti e tre sono ora liberi su cauzione ma le false accuse contro di loro restano in piedi in 11 denunce spiccate da diverse aziende tra cui la Nassa, uno dei principali fornitori di Walmart. Centinaia di lavoratori e attivisti stanno fronteggiando processi, tra questi Mushrefa Mishu del Garment Workers Unity Forum, arrestata e detenuta per più di 4 mesi e che soffre ancora di problemi di salute per i maltrattamenti della polizia.
In qualità di maggiore acquirente di abbigliamento prodotto in Bangladesh, la statunitense Walmart ha il potere di garantire che i lavoratori tessili del Bangladesh, di fronte a salari da fame e condizioni deprecabili possano difendere i loro diritti senza rischiare molestie, arresti e torture. Anche se Walmart ha dichiarato che il suo fornitore Nassa ha già ritirato le accuse, ciò non è accaduto.
Chiedi a Walmart di comunicare ai fornitori che le denunce e le false accuse contro Kalpona Akter, Babul Akhter, Aminul Islam e gli altri dirigenti sindacali vanno ritirate, che la polizia e i funzionari responsabili per le torture e i maltrattamenti vanno indagati e ritenuti responsabili per quanto commesso e che i difensori dei diritti del lavoro come il Centro di solidarietà dei Lavoratori del Bangladesh devono essere autorizzati ad operare liberamente.
Vi preghiamo di firmate la petizione e di diffondere il più possibile questo appello
(2011) REPORT - Donne Dalit sfruttate per il mercato europeo
Alcune aziende hanno preso provvedimenti ma lo sfruttamento è ancora molto diffuso. Un nuovo rapporto pubblicato da Somo e ICN mette in luce lo sfruttamento annidato nelle filiere di produzione indiane dove grandi marchi e distributori europei e statunitensi producono abbigliamento grazie all’impiego di ragazze Dalit (senza casta) spesso minori di 18 anni.
Si tratta della pratica del Sumangali molto diffusa nel Tamil Nadu che, nella sua forma peggiore, si caratterizza per l’impiego di lavoro forzato, Il rapporto presenta casi di studio di quattro grandi produttori: Eastman Global Clothing Exports, KPR Mill, Bannari Amman e SSM India. Tali imprese producono per Bestseller (con i marchi Only, Jack & Jones), C&A, Diesel, Inditex (Zara ad esempio), Marks & Spencer, Primark, Tommy Hilfiger, e molti altri in Europa e negli Stati Uniti. Alcune aziende, secondo gli estensori del rapport, hanno intrapreso azioni volte all’eliminazione del Sumangali, ma le pratiche di lavoro abusive sono ancora diffuse.
Scarica il rapporto (in inglese)
Le ragazze Sumangali sono reclutate con la promessa di un salario dignitoso, un alloggio confortevole e, la più grande attrazione, una considerevole somma di denaro al termine del loro contratto di tre anni. Questo importo forfettario, che varia tra 400 e 800 euro, può essere utilizzato per pagare la dote. La realtà tuttavia è in netto contrasto con le promesse allettanti: i salari sono al di sotto del minimo legale, l’orario di lavoro è eccessivo, lo straordinario non è pagato, la libertà di movimento è limitata, non viene garantita la privacy, nessuna possibilità di sporgere reclami o ottenere risarcimento, le condizioni di lavoro sono insalubri e insicure, ecc Questa situazione rientra fra le 'forme peggiori di lavoro minorile' come previsto dall' Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) per bambini fino a 18 anni. Si tratta di una chiara violazione degli standard internazionali del lavoro e del diritto del lavoro indiano.
La somma promessa fra l’altro non è un bonus, ma è costituita dal salario trattenuto durante il periodo di lavoro. In un certo numero di casi documentati le ragazze non hanno nemmeno ricevuto la somma forfettaria cui avevano diritto, pur avendo completato il triennio contrattuale.
La libertà d'azione delle ragazze è fortemente limitata dalle guardie che le sorvegliano costantemente. Sono obligate ad alloggiare in dormitory spesso collocati all'interno del complesso della fabbrica. Questo significa anche che le lavoratrici difficilmente hanno la possibilità di entrare in contatto con i sindacati o gruppi di difensori dei diritti umani.
SOMO e ICN hanno condiviso il rapporto di indiagine con le aziende citate nella relazione. Diverse hanno risposto con commenti dettagliati inclusi nella versione finale, come C&A, Oxylane e Tesco. Altre aziende non hanno risposto affatto, o solo superficialmente.
I marchi e I distributori hanno ormai preso coscienza del profilo di sfruttamento che caratterizza il sistema Sumangali, attraverso la ricerca condotta da organizzazioni non governative, i media, e anche in alcuni casi grazie ai loro stessi audit. Un certo numero di imprese ha preso una posizione chiara contro questa pratica. Attraverso lo sviluppo di piani d'azione correttivi. Secondo SOMO e ICN dal mese di agosto 2010, vi sarebbero stati attuati miglioramenti significativi presso la Eastman e la KPR Mill.
Tuttavia, la presenza del sistema di Sumangali e altre violazioni dei diritti dei lavoratori nel settore dell'abbigliamento in Tamil Nadu è ancora molto diffusa. Tutti i marchi che si approvvigionano in questa regione corrono il forte rischio di avere lavoratori Sumangali nella catena di fornitura.
Alcune aziende, come C&A, Bestseller, GAP, Inditex, Primark e Tesco, hanno espressamente dichiarato il loro impegno a lavorare con altre aziende e soggetti della società civile per l'abolizione del regime Sumangali.Le dichiarazioni che hanno pubblicato sembrano promettenti ma mancano di azioni concrete con scadenze precise. SOMO e ICN sollecitano tutte le aziende che operano con fornitori in Tamil Nadu a prendere immediatamente misure concertate per porre fine al regime Sumangali e ad altri abusi dei diritti del lavoro. SOMO e ICN continueranno a monitorare le politiche aziendali e le pratiche in materia di rispetto delle norme di lavoro nell'industria tessile globale.
(2011) Accordo raggiunto alla Viva Global
42 lavoratori della fabbrica Viva Global situata a Gurgaon in India sono tornati a lavorare più di sei mesi dopo che erano stati espulsi a seguito di un violento attacco ai membri del sindacato. Il loro ritorno avviene in seguito all’accordo siglato il 29 marzo in cui Viva Global aveva promesso di reintegrare tutti i lavoratori licenziati lo scorso agosto. L'accordo è stato firmato sotto la supervisione del Vice Commissario del Lavoro, dopo che l’Alta Corte di Chandigarh aveva ordinato all’azienda di risolvere la controversia.
Altri 40 lavoratori continuano a lottare per il loro reinserimento, che avrebbe dovuto essere garantito nel quadro dell'accordo. Non è chiaro perché questi lavoratori non sono ancora stati riassunti, cosa che ha spinto tutti i lavoratori coinvolti insieme al sindacato Allied Workers Union a insistere perché l’accordo sia pienamente onorato e tutti gli 82 lavoratori possano riottenere il lavoro.
Dal momento che gli orribili eventi dello scorso agosto, quando il leader sindacale Anwar Ansari è stato rapito e 102 lavoratori sono stati attaccati fuori dalla fabbrica, i lavoratori della Viva Global hanno continuato a lottare per il loro reintegro in azienda.
Questa richiesta è stata resa più difficile dalla decisione del principale acquirente, Marks and Spencer, di ritirarsi dalla fabbrica. Il grande distributore aveva annunciato la sua decisione al giornale Observer affermando che gli ordini erano stati tagliati mesi prima per "ragioni di business." Il proprietario della Viva Global, il Sig Vohra ha dichiarato alla stampa indiana che il ritiro era direttamente collegato alla controversia. Poco dopo l'annuncio Viva Global ha ridimensionato la sua forza lavoro.
M&S non ha mai informato la Clean Clothes Campaign inglese (Labour Behind the Label) o il sindacato che stava progettando di tagliare gli ordini, nonostante i contatti regolari in relazione alle violazioni in corso per i sei mesi precedenti. M & S aveva rassicurato gli attivisti che avrebbe continuato a lavorare per una soluzione del caso, ma da allora la comunicazione è cessata sia con la CCC che con il sindacato GAWU.
Per nulla scoraggiato dal rifiuto di M&S di svolgere un ruolo costruttivo nella risoluzione della controversia, i lavoratori hanno deciso portare il caso alla Corte Suprema sostenendo che le azioni di Viva Global erano illegali. Grazie alla loro forza e determinazione adesso c’è la possibilità che gli eventi dell'ultimo anno possano finalmente avere un esito positivo.
La Clean Clothes Campaign continuerà a rimanere in contatto con i lavoratori e seguirà il processo in corso di aggiudicazione e di ogni ulteriore sviluppo in fabbrica.
(2011) L'AFW pubblica i nuovi salari dignitosi per l'Asia
Il salario minimo dignitoso è un diritto di tutti!
L’Asia Floor Wage Campaign pubblica il Decalogo per le imprese dell’abbigliamento e lancia i nuovi salari dignitosi corretti per l'inflazione.
2 maggio 2011 - In occasione del Primo Maggio 2011, numerosi leader sindacali asiatici chiedono con una sola voce un salario dignitoso minimo per la regione. I leader e gli esperti riuniti nella alleanza per il salario minimo dignitoso per l’Asia (Asia Floor Wage Campaign) hanno calcolato i nuovi livelli che consentirebbero una vita dignitosa nei paesi di produzione del tessile abbigliamento.
Nel 2009 un'alleanza asiatica composta di sindacati e attivisti dei diritti del lavoro aveva definito e calcolato un salario base (salario minimo dignitoso) per i lavoratori tessili asiatici. Il salario base è progettato per garantire che i lavoratori ricevano abbastanza per soddisfare i bisogni fondamentali per se stessi e le loro famiglie. Esso si traduce nelle diverse valute locali attraverso il fattore di conversione PPP (Purchasing Power Parity) per ciascun paese. Nel 2009 la formula era di 475 $ PPP $.
Il nuovo parametro di riferimento si basa sulla stessa definizione adattata dopo due anni di inflazione raggiungendo 540 $PPP per il 2011.
In valuta locale questo si traduce in:
Bangladesh 12.248 BDT
Cambogia 692.903 Riel
India 7.967 Rupie
Indonesia 2.132.202 Rupiah
Sri Lanka 19.077 Rupie
Cina 1.842 RMB
A questo si affianca una situazione generale dell'industria dell'abbigliamento in Asia, che impiega prevalentemente le donne lavoratrici, ed è rinomata per i salari da fame, gli straordinari eccessivi e le cattive condizioni di lavoro. Proprio la povertà delle condizioni di lavoro spinge gli operai e le operaie a usare qualunque mezzo per aumentare il reddito, a partire da straordinari disumani. E quando i lavoratori protestano, spesso li aspetta il carcere.
La campagna ha anche pubblicato dieci proposte concrete per le aziende dell'abbigliamento che esternalizzano la produzione in Asia, esortandole ad assumere chiare responsabilità per garantire che i lavoratori asiatici possano avere una vita più dignitosa. Il documento informativo è disponibile 'qui' [in inglese)
Oggi i salari minimi in questi paesi sono ben al di sotto di quello minimo dignitoso, nel migliore dei casi il rapporto è di 1 a 2. per una settimane lavorativa che supera le 48 ore.
L‘Asia Floor Wage (AFW) campaign rappresenta una grande novità politica:la richiesta collettiva di un salario minimo dignitoso per tutti i lavoratori asiatici che confezionano la gran parte dell’abbigliamento mondiale. Offre pertanto un approccio generale e solidaristico che supera visioni particolariste e nazionali del tutto inadeguate di fronte alle sfide della globalizzazione.
Per info generali potete visitare il sito http://www.asiafloorwage.org
(2011) Killer jeans: le risposte delle imprese
Dopo 2 mesi di campagna pubblica che ha attraversato diversi paesi europei, molte sono le imprese che hanno espresso la volontà di sospendere la sabbiatura. E' tuttavia importante conoscere le diverse posizioni che esprimono le aziende perchè non basta dire che si sospende la tecnica, occorre anche spiegare come lo si fa, in quali tempi, con quali garanzie di efficacia.
Ecco una tabella utile per monitorare i percorsi reali dei diversi marchi.
1. Prima tappa: comunicazione in relazione all’uso della sabbiatura
1a. Rifiutano di eliminare la tecnica o di fornire informazioni sulle politiche aziendali in merito alla sabbiatura |
|
Dolce & Gabbana |
1b. Dichiarano che cesseranno l’uso della sabbiatura ma non hanno assunto una posizione pubblica in merito |
|
Queste imprese hanno risposto alla CCC di avere immediatamente cessato l'acquisto di jeans sabbiati:InditexNew LookOrsays. OliverQueste imprese hanno risposto alla CCC che intendono cessare la sabbiatura e vogliono sostituire metodi alternativi:Diesels. OliverZara (Inditex) |
1c. Dichiarano che la sabbiatura non è utilizzata nella catena di fornitura ma non hanno dichiarato pubblicamente il bando |
|
Adolfo DominquezIC Companies (Peak Performance, Tiger of Sweden, InWear, Jackpot, Cottonfield, Matinique, Part Two, By Malene Birger, Saint Tropez, Soaked in Luxury, Designers Remix, COMPANYS, Picturebank)Lee (VF Corporation)PRADARoberto CavalliStreet OneStrellson (Holy Fashion Group, Besitzerin der Marken: Strellson, Joop!, Tommy Hilfiger Tailored, Windsor)Wrangler (VF Corporation) |
1d. Hanno cessato pubblicamente la sabbiatura |
|
ArmaniBenettonBestseller (Jack&Jones, Mama-Licious, Name it, Object Collectors Item, Only, Outfitters Nation, Pieces, Selected, Vila, Vero Moda)BurberryCarrerra JeansC&ACharles VögeleEspritGucciH&MLevi Strauss & COMangoMetroNew YorkerPepe JeansReplayVersace |
2. seconda tappa: garanzia della eliminazione della sabbiatura dalla catena di fornitura
2a. Nessuna informazione o informazioni contraddittorie |
|
Charles VögeleDolce and GabanaLee (VF Corporation)New YorkerOrsayPRADAReplayRoberto CavalliWrangler (VF Corporation) |
2b La decisione di cessare la sabbiatura non è immediata |
|
BenettonDiesel |
2c. Il monitoraggio e l’implementazione del bando vanno attuati attraverso la revisione degli standard |
|
Adolfo Dominquez |
Armani
Bestseller (Jack&Jones, Mama-Licious, Name it, Object Collectors Item, Only, Outfitters Nation, Pieces, Selected, Vila, Vero Moda)
Burberry
C&A
Esprit
H&M
IC Companies (Peak Performance, Tiger of Sweden, InWear, Jackpot, Cottonfield, Matinique, Part Two, By Malene Birger, Saint Tropez, Soaked in Luxury, Designers Remix, COMPANYS, Picturebank)
Levi Strauss & CO
Mango
Metro
New Look
Primark
s. Oliver
Street One
Strellson (Holy Fashion Group, Besitzerin der Marken: Strellson, Joop!, Tommy Hilfiger Tailored, Windsor)
Versace
Zara (Inditex)
2d Hanno una strategia di implementazione che include i sindacati locali
|
|
Gucci |
3. Terza tappa: rimedio e risarcimento
Nessuna impresa ha assunto la responsabilità di verificare le condizioni di salute dei lavoratori coinvolti (es. check-up medici) e di risarcirli (in caso per esempio di lavoratori affetti da silicosi).
(2011) In memoria delle vittime della Spectrum
Stretta finale per il risarcimento dei lavoratori che persero la vita nel crollo della fabbrica di Dhaka in Bangladesh. L’11 aprile è una triste ricorrenza per il mondo del lavoro. 64 persone persero la vita e 80 rimasero ferite nel crollo della Spectrum avvenuto in Bangladesh nel 2005. Da allora almeno 200 lavoratori tessili bengalesi sono morti a causa di incendi in fabbrica, molti altri sono rimasti feriti mentre producevano abbigliamento per i principali marchi europei e statunitensi.
Il 10 aprile il sindacato National Garment Workers Federation NGWF ha organizzato “ il giorno del condoglianze e della memoria per i lavoratori tessili” ricordando a tutti che lavorare in un posto sicuro è un diritto fondamentale.
Il 14 dicembre dello scorso anno l’incendio avvenuto alla Hameem ha ucciso 29 persone mentre pranzavano all’11° piano
Hameem Group è uno dei principali produttori tessili del paese al servizio di grandi marchi come Target, JC Penney, Abercrombie & Fitch e Gap. Prima ancora lo scorso anno l’incendio alla Garib&Garib aveva scioccato l’opinione pubblica uccidendo 21 lavoratori che producevano per H&M e Teddy
La prossima settimana gli invalidi sopravvissuti e le famiglie dei deceduti riceveranno l’ultimo pagamento del risarcimento cui hanno diritto secondo lo Spectrum Relief Scheme che era stato stabilito da Inditex (Zara) e dal sindacato internazionale ITGLWF. Lo stesso giorno proposte per il risarcimento dei lavoratori della Gameen saranno discusse dai diversi stakeholders interessati.
Resta necessario assicurare che le vittime della Garib&Garib ricevano un giusto risarcimento e soprattutto che misure strutturali siano adottate per prevenire tragedie future.
L’agenda per la sicurezza dell’11 aprile
Gli edifici in Bangladesh rimangono strutturalmente insicuri: le regole di costruzione sono costantemente ignorate, i lavoratori non ricevono formazione, gli impianti elettrici sono installati male, gli impianti anti-incendio sono sotto dimensionati mentre l’industria cresce a ritmi da record.
Due giorni dopo il collasso della Spectrum, la Clean Clothes Campaign (CCC) e l’International Textile, Garment and Leather Workers Federation (ITGLWF) hanno richiamato i marchi, gli imprenditori e il governo ad assumersi la responsabilità di una revisione strutturale dei sistemi di sicurezza degli edifici. Alla luce del disastro della Spectrum sono stati organizzati molti incontri tra i diversi portatori di interesse, sia a livello nazionale che internazionale. Molte le promesse senza che nessun piano concreto sia stato messo in atto.
Il governo bengalese insieme ai marchi e ai produttori è complice della morte di tutti questi lavoratori
Nel momento in cui non vengono assunte misure preventive necessarie. Ogni giorno 3,5 milioni di lavoratori rischiano la loro vita producendo abiti di scarso valore.
La CCC insieme ai suoi alleati ha reso noto il piano di azione in materia di sicurezza che dovrebbe essere adottato dalle imprese lungo la catena di fornitura per evitare nuove tragedie Alle imprese è stato anche richiesto di esercitare una pressione diretta sul governo e sull’associazione industriali BGMEA perché si assumessero responsabilità precise verso l’intero settore nel paese.
L’Agenda per la sicurezza dell’11 aprile è stata discussa anche in un meeting multi-stakeholder organizzato dal sindacato internazionale a Dicembre a Dhaka, dove le parti hanno concordato di rivedersi il 17 dicembre, la prossima settimana.
In the direct aftermath of the Hameem fire la CCC e i suoi alleati sostenuti da numerosi sindacati locali, hanno richiamato i clienti della Hameem ad impegnarsi per l’immediata applicazione della prime azioni indicate nell’Agenda: la revisione degli edifici e meccanismi di ispezione. I marchi statunitensi Gap, VF Corporation, JC Penny, Target, Carters, PVH e Abercrombie & Fitch hanno assunto l’impegno di attivarsi su questi punti a gennaio di quest’anno.
La CCC si aspetta che l’incontro del 17 aprile stabilisca accordi vincolanti per le parti dando concretezza all’attuazione dell’Agenda per la sicurezza
Il risarcimento Spectrum
La prossima settimana, il 16 di aprile, i sopravvissuti della Spectrum e le loro famiglie riceveranno il saldo del risarcimento. Lo Spectrum Relief Scheme sarà quindi portato a compimento dopo essere stato originariamente concordato da Inditex e ITGLWF per essere lanciato nel settembre del 2006. Con un fondo stimato di 533mila euro è stato pensato per erogare ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime una pensione mensile basata sui salari percepiti. Questo in aggiunta agli sforzi precedenti finalizzati a fornire cure mediche e altri tipi di sostegno di emergenza ai feriti o alle famiglie di coloro che non ci sono più.
La grande forza dello schema di risarcimento risiede sulla metodologia: i calcoli sono basati sugli stipendi percepiti, la dimensione famigliare e anche sui danni ricevuti, assicurando in questo modo un trattamento giusto alle vittime. In secondo luogo esso consente alle parti interessate di condividere gli oneri. E infine esso è stato pensato per erogare pagamenti periodici direttamente sui conti dei lavoratori, per non correre il rischio di una cattiva gestione dei fondi.
Le sue debolezze invece risiedono sul sistema di pagamento e sulla mancanza di una gestione indipendente per monitorare l’applicazione dello schema, che ha portato a notevoli ritardi. Questo ha spinto i beneficiari e gli stakeholders a fare pressione per ricevere il pagamento del saldo in un’unica soluzione.
La CCC auspica che ciò avvenga garantendo il raggiungimento di quelle famiglie che ancora aspettano ciò che gli è dovuto e che le vittime della Spectrum possano avere giustizia
(2011) Denunciato l'attivista Charles Hector
I lavoratori birmani avevano protestato contro la deduzioni illegali dai loro salari e il mancato pagamento dei congedi per malattia. Su richiesta della società, il giudice ha emesso un’ingiunzione per impedire Charles Hector di diffondere pubblicamente informazioni attraverso il suo blog o Twitter sulla situazione dei 31 lavoratori migranti. Denunciare gli attivisti che rendono pubblici i casi di violazione dei diritti umani è inaccettabile: vi chiediamo di fermarvi un istante e firmare la petizione firmare un on-line per:
- invitare Asahi Kosei a ritirare immediatamente e senza condizioni l'azione legale contro Charles Hector; invitare i suoi clienti a fare pressione sul fornitore Asahi Kosei nella stessa direzione;
- invitare Asahi Kosei e tutti, specialmente, i governi, a rispettare diritti, doveri e obblighi universalmente riconosciuti ad ogni persona e / o organizzazione di diffondere pubblicamente informazioni su torti, violazioni dei diritti umani e ingiustizie, come evidenziato nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani.
- invitare Asahi Kosei, e il governo del Giappone e della Malesia ad assicurare che sia fatta giustizia per tutti i lavoratori interessati, e per garantire che i loro diritti siano riconosciuti e rispettati
(2011) Le Pasionarie
Le Pasionarie.
Storie di donne che hanno cambiato il Mondo
Un libro che narra la storia di donne eccezionali da non dimenticare. Un libro che diventa un ponte tra le lotte di ieri e quelle di oggi, grazie alla scelta degli autori di destinare le quote dei diritti d'autore al sostegno della Campagna Abiti Puliti.
L’idea è nata dopo alcune riflessioni fatte in merito alla condizione della donna oggi in Italia, di come viene utilizzata e propagandata l’immagine della donna dai mass media. Gli autori dunque hanno fatto una ricerca storica per raccontare di come in passato le donne hanno contribuito con passione a cambiare la nostra società. Il libro racconta le vite di Anna Kuliscioff, Alessandrina Ravizza, Gisella Floreannini, Teresa Noce e de Le mujeres libres, donne spagnole attive durante la guerra civile degli anni ’30/’40.
Gli autori.
Amerigo Sallusti è autore di documentari e scrive su riviste dedicate al lavoro. Sindacalista della CGIL, studioso delle sinistre comuniste, in particolare quella tedesca e olandese, e delle culture del conflitto. Già autore del libro La lunga Resistenza operaia contro il fascismo (2007) per le edizioni Arterigere.
Giovanna Frisoli è diplomata alla scuola di Cinema di Milano e laureata in Lettere Moderne. Regista di documentari, insegna comunicazione multimediale in una scuola civica milanese. Già autrice del libro La lunga Resistenza operaia contro il fascismo (2007) per le edizioni Arterigere
(2011) Aumenti salariali in Cambogia
Dopo mesi di lotta intensa, i sindacati e datori di lavoro hanno raggiunto accordo per aumentare in modo significativo i salari in Cambogia. L'accordo arriva dopo mesi di instancabile attivismo a difesa dei diritti dei lavoratori in un paese dove l’ industria dell'abbigliamento in rapida crescita è diventata il più importante settore industriale e di produzione di reddito del paese.
Il sindacato Coalition of Cambodian Apparel Workers Democratic Union (CCAWDU), partner della CCC, aveva avviato insieme ad altri uno sciopero dei lavoratori tessili nazionale nel settembre dello scorso anno per chiedere un salario minimo pari a 93 dollari al mese. Gli studi indicano che tale importo rappresenta il minimo necessario per un singolo percettore di reddito a mantenere una famiglia di quattro persone
Lo sciopero è stato un grande successo: il terzo giorno circa 200.000 i lavoratori hanno partecipato, facendolo diventare uno dei più grandi scioperi di sempre e il più grande sciopero nella storia della Cambogia.
Tuttavia, quando gli scioperanti volevano tornare a lavorare, ci sono state massicce ritorsioni da parte dei proprietari della fabbrica, con il conseguente licenziamento illegale di centinaia di lavoratori (scrivete alle imprese). Vi preghiamo di continuare a sostenere il nostro appello urgente nei confronti delle fabbriche che ancora non hanno consentito a tutti i lavoratori di rientrare in fabbrica.
Cinque round di negoziati si sono tenuti per accordarsi sul livello delle prestazioni, come la frequenza e il bonus di anzianità. Il 7 marzo, un accordo, che riconosce ai lavoratori, in media 10 dollari in più è stato raggiunto. Dato che il salario minimo è oggi fissato a 61 dollari, questo rappresenta un aumento di più del 10 per cento.
La CCC e il CCAWDU accolgono positivamente questi risultati. Continueremo a fare pressione sulle multinazionali che producono in Cambogia per garantire che i lavoratori ricevano un salario dignitoso.
(2011) Minacce di morte per Mishu Moshrefa
Marzo 2011 - Moshrefa Mishu, presidente del Garment Workers Unity Forum (GWUF), sindacato dei lavoratori dell’abbigliamento del Bangladesh, è in stato d’arresto dal 14 dicembre 2010 con accuse pretestuose in seguito alle manifestazioni di massa dei lavoratori tessili per l’aumento del salario minimo. Maltrattata e minacciata di morte in prigione, le sono state negate le medicine di cui ha bisogno con grave rischio per la sua salute. Occorre continuare ad insistere presso il governo del Bangladesh per la sua liberazione.
Tutti i nomi della scintilla
Articolo di Alessandro Portelli pubblicato su Il Manifesto in occasione dell'8 marzo
Oggi vorrei parlare di Francesca Caputo. Aveva diciassette anni. Morì cento anni fa, in un giorno di marzo del 1911, asfissiata o bruciata, insieme con altre 145 donne, nell'incendio di una fabbrica, la Triangle Shirtwaist Factory, a New York, Stati Uniti d'America. Donna, operaia, immigrata - tre volte senza diritti. Anzi, quattro: era anche minorenne.
Vorrei parlare di lei, ma questo è tutto quello che so: il nome, l'età, dove lavorava, dove abitava (81, Degraw Street, Brooklyn), dove e quando è morta. Ma basta a commuovere e a fare rabbia, perché ci dà i contorni di una vita, e così ci ricorda una cosa elementare che però dimentichiamo spesso di fronte alle tragedie di massa. Quel 25 marzo a New York, come il 24 marzo 1944 a Roma, come in qualunque bombardamento in Afghanistan o in Libia, non è accaduta una strage, un massacro - ma: centoquarantasei omicidi sul lavoro, trecentotrentacinque esecuzioni a sangue freddo, una per una.
Intimo resistente a Bangkok
Quasi trent’anni di lavoro organizzate in uno dei sindacati di fabbrica più autorevoli e longevi. Duemila operaie della Triumph International in Thailandia, licenziate nel giugno 2009 per asserito calo di ordinativi (ma la fabbrica è stata riaperta altrove con personale precario), hanno tenuta alta per mesi l’attenzione sul loro caso occupando con le macchine da cucire uno spazio all’interno degli edifici del ministero del lavoro a Bangkok e continuando a produrre materiale tessile per la vendita. Dalla loro resistenza è nata una cooperativa, “Try Arm”, che oggi impiega 30 persone e produce abbigliamento intimo e costumi da bagno inserendosi nel solco dell’autorganizzazione operaia globalizzata inaugurata nel 2003 dalla cooperativa Dignity returns sempre in Thailandia. (www.tryarm.org, tryarm-eng.blogspot.com)
Nasce il sindacato indipendente in Egitto
La Federazione Egiziana dei Sindacati Indipendenti, nata il 30 gennaio 2011 in un incontro nella piazza Tahir occupata dai manifestanti, ha inaugurato le attività con la conferenza “Quello che i lavoratori vogliono dalla rivoluzione”, organizzata presso la sede dell’associazione dei giornalisti al Cairo. E’ il primo organismo sindacale indipendente a vedere la luce dal 1957 quando il presidente Gamal Abdel Nasser riportò tutte le organizzazione dei lavoratori sotto l’ombrello della Federazione Egiziana dei Sindacati (ETUF) controllata dal governo. Fra le principali rivendicazioni, riconquistare il diritto di sciopero e la libertà di associazione in vista dell’obiettivo della definizione di un salario minimo adeguato. Il 25 febbraio, nella “giornata della rabbia”, anche i sindacati irakeni sono scesi in piazza per la democrazia e il rispetto dei diritti dei lavoratori. (www.labourstart.org)
Per una giusta Politica degli Investimenti europea
Gli accordi internazionali di investimento danno alle imprese multinazionali il diritto di agire legalmente contro Stati sovrani di fronte a tribunali di arbitrato internazionali. Gli investitori e le società di consulenza legale utilizzano questa possibilità in modo crescente e non esitano a sfidare le misure di tipo sociale, ambientale o economiche realizzate dai governi, laddove queste siano ritenute pregiudizievoli della redditività dei loro investimenti. È prevedibile un rapido incremento di queste controversie legali investitori-Stati contro l'Europa, se la politica dell'Unione Europea continuerà a dare agli investitori internazionali simili diritti privilegiati.
Gli Accordi Internazionali di Investimento minacciano le basi democratiche dell'azione dei governi e l'interesse pubblico. Le organizzazioni firmatarie chiedono alle istituzioni Europee e ai governi degli Stati Membri dell'Unione Europea di sviluppare una politica degli investimenti equilibrata, che faccia assumere obblighi chiari agli investitori e protegga il diritto dei governi di creare regole tese a promuovere l'interesse pubblico, il lavoro dignitoso, i diritti umani e la sostenibilità ambientale.
La normativa sugli investimenti europei per il futuro dovrà:
· indicare chiaramente - all'interno degli accordi di investimento - gli obblighi cui gli investitori dovranno attenersi, con particolare riguardo ad aree come i diritti umani, la protezione ambientale, il lavoro dignitoso e la responsabilità delle imprese;
· utilizzare un linguaggio più preciso e restrittivo nel definire i diritti legali degli investitori
· abolire il meccanismo unilaterale e riservato di risoluzione delle controversie tra investitori e stati
· assicurare che le misure realizzate e applicate dai governi per difendere o sviluppare interessi pubblici non possano più essere messe in discussione perché considerate come una "espropriazione indiretta" degli investimenti
· includere in modo sostanziale una prospettiva sociale e ambientale
Tutte le negoziazioni in corso per Trattati Bilaterali di Investimento da parte dei singoli Stati membri dell'Unione dovrebbero essere sospese. Gli attuali Trattati Bilaterali di Investimento dovrebbero quindi essere sottoposti a nuova valutazione e sostituiti per armonizzarli ai principi di uno sviluppo sostenibile, della promozione di un lavoro dignitoso e dell'equità sociale.
(2011) STOP ai jeans sabbiati
STOP ai jeans sabbiati
Continua la campagna killer jeans
Diesel, Dolce & Gabbana e Armani sono firme notissime della moda italiana nel mondo. Sono anche fra le imprese che rifiutano di aprire un confronto con la Campagna Abiti Puliti per porre fine alla sabbiatura dei jeans all’interno della loro catena di fornitura. La pericolosa tecnica sta mettendo a repentaglio la vita dei lavoratori nei paesi di produzione, dove migliaia di vite sono a rischio.
Approfondisci il tema
Marchi importanti come Levi's, H&M e C&A hanno già eliminato la sabbiatura dalle loro collezioni. GUCCI ha intrapreso una seria politica di sospensione aperta al confronto con tutte le parti sociali. E' tempo di fare sentire la voce dei consumatori a tutte le altre imprese del settore perchè si assumano le proprie responsabilità
Scopri chi sono i Buoni, i Brutti e i Cattivi
Anche tu puoi fare la tua parte per sostenere la campagna internazionale per l’abolizione dei jeans sabbiati. Un trattamento così pericoloso per la salute dei lavoratori che ha spinto migliaia fra attivisti, medici, sindacalisti e organizzazioni per i diritti umani a chiederne l’immediata abolizione.
{mooblock=> SCOPRI COME FARE IN 4 MOSSE}
Puoi attivarti in molti modi, da solo o coinvolgendo i tuoi amici.
Basta un click per iniziare.
Se sei molto pigro, parti dal livello più semplice.
Scrivi subito ai marchi e firma il manifesto
Manda subito una lettera di pressione ai più importanti marchi internazionali della moda per chiedere l’immediata cessazione della tecnica. SCRIVI AI MARCHI Se non l’hai ancora fatto, firma l’appello internazionale rivolto a imprese e governi. Più di 1500 fra organizzazioni e persone hanno già aderito per chiedere l'immediata cessazione della tecnica. |
La foto su facebookPuoi fare un passo in più e aiutarci a diffondere meglio la campagna scaricando la foto qui allegata e mettendola sul tuo profilo Facebook per una settimana. Scarica il logo che preferisci:
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Diventa creativoSicuramente hai un paio di jeans a casa, i tuoi preferiti. Indossali, magari insieme ai tuoi amici, e fatti una foto mettendo in bella vista lo slogan della campagna. SCARICA LO SLOGAN. |
Carica la foto sulla tua bacheca Facebook o come immagine del tuo profilo, condividila con gli amici, e poi caricala anche sulla bacheca della campagna Abiti Puliti.
Oppure potresti farti un piccolo video e caricarlo direttamente su Facebook o Youtube (in quest’ultimo caso non dimenticare le tag stop sandblasting, campagna abiti puliti)
Entra in azione!
Da solo o in compagnia
Se avessi voglia di trasformare un giro in centro in una occasione di azione per aiutarci a diffondere la campagna, allora ti suggeriamo di scaricare la TASCA VIRALE, ritagliarla in numerose copie e poi lasciarla dentro i jeans sabbiati in vendita nei negozi e nei centri commerciali della tua città. Cerca in particolare quelli di Dolce&Gabbana, Armani, Diesel, Replay e Cavalli che non hanno risposto al nostro appello Un messaggio per i consumatori che non sanno cosa implica la sabbiatura dei jeans. Un messaggio per chi vende i jeans, perché cessi immediatamente questa assurda tecnica produttiva.
Se riesci, fai una foto dell’azione e postala sulla nostra bacheca di Facebook: Campagna Abiti Puliti.
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I giovani del 6 aprile per il salario dignitoso
30/01/2011 Forse non tutti sanno che i “Giovani del 6 aprile”, movimento nato in rete che partecipa alle rivolte popolari egiziane, deve il suo nome allo sciopero generale contro il carovita e per l’aumento del salario minimo, represso brutalmente prima di vedere la luce il 6 aprile 2008 , proclamato dai lavoratori della Misr Spinning and Weaving factory di Mahalla al-Kubra, una delle industrie tessili più grandi del Medio Oriente con oltre 24 mila lavoratori. La fabbrica aveva condotto negli ultimi anni numerosi scioperi autorganizzati riuscendo a strappare migliori condizioni salariali. Il 30 marzo 2010 il Tribunale del lavoro ha sancito il diritto all’aumento del salario minimo fermo dal 1984 a 35 pound (5 euro). Ma i 400 pound proposti (circa 55 euro) sono ben lontani dalle richieste delle organizzazioni dei lavoratori per una soglia di 180 euro, che già non è più al passo con l’inflazione galoppante. L’Italia nel 2010 si è confermata il principale partner economico e commerciale europeo dell’Egitto.
(per approfondimenti: The struggle for worker rights in Egypt, Solidary Center, 2010)
Benetton in Serbia
30/01/2011 Benetton firma un accordo per la realizzazione di un polo industriale a Nis, terza città della Serbia, dove è presente una fabbrica tessile dismessa che occupava fino all’anno scorso 660 operai. In cambio otterrà dal governo serbo 9 mila euro l’anno per un triennio per ogni posto di lavoro creato e forti agevolazioni fiscali. Un operaio in Serbia percepisce circa 8 mila dinari, l’equivalente di 80 euro al mese. Probabilmente a venire ridimensionata sarà la piattaforma produttiva che Benetton mantiene in Croazia.
(La Tribuna di Treviso, 30/1/11)
(2011) Arrestato sindacalista in Cambogia
La Campagna Abiti Puliti è molto allarmata per la sicurezza dei dirigenti sindacali e dei lavoratori in Cambogia. Il 18 novembre 2010 Sous Chantha, leader sindacale del sindacato tessile cambogiano (C. CAWDU) è stato arrestato e accusato di traffico di droga. Un arresto chiaramente finalizzato a disturbare la sua attività sindacale, per cui rischia da 2 a 5 anni di carcere.
C. CAWDU aveva organizzato uno sciopero nazionale lo scorso settembre per ottenere salari dignitosi, sciopero che aveva portato al licenziamento di massa di membri del sindacato e a decine di cause legali presentate contro i leader sindacali. Oggi 379 lavoratori di 18 aziende sono ancora senza lavoro e senza reddito.
Vi chiediamo di intervenire oggi stesso invitando il governo cambogiano a liberare immediatamente e incondizionatamente Sous Chantha, e gli imprenditori insieme alla loro associazione di rappresentanza (GMAC) a riassumere immediatamente tutti i lavoratori sospesi e licenziati.
(2011) Licenziamenti di massa in Cambogia
Gli operai in questione, molti dei quali dirigenti sindacali, lottano per riavere il posto di lavoro da quando sono stati allontanati il 18 settembre 2010. I licenziamenti e le sospensioni sono vere e proprie ritorsioni per aver partecipato allo sciopero nazionale per un salario minimo mensile di 93 dollari. Il minimo "salario di sussistenza", secondo il calcolo effettuato dalle ong esperte e dai sindacati nel paese.
Lo sciopero si era protratto per tre giorni e aveva ricevuto un sostegno massiccio dal mondo del lavoro: l'ultimo giorno oltre 200.000 operai provenienti da 90 fabbriche si erano uniti alla protesta. Protesta terminata solo quando si è avviato il processo negoziale tra sindacati e governo, che aveva dato la disponibilità ad un incontro per valutare le richieste dei lavoratori,
Tuttavia, quando gli operai tessili sono tornati alle fabbriche per lavorare, hanno trovato una brutta sorpresa: licenziamenti di massa dei lavoratori sindacalizzati che avevano partecipato allo sciopero e decine di cause legali presentate contro i leader sindacali.
La controffensiva dei datori di lavoro è in aperta violazione della Costituzione cambogiana, delle leggi del lavoro, e delle convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro sulla libertà di associazione e di contrattazione collettiva. Il governo ha risposto mediante l'appello ai datori di lavoro a ritirare le denunce in tribunale unitamente alla richiesta di tornare al tavolo negoziale. Ha inoltre affermato che non consentito il licenziamento dei lavoratori.
All'inizio di ottobre il giudice ha emesso una ordinanza che intima ai datori di lavoro di reintegrare i lavoratori licenziati e sospesi entro 48 ore. I datori di lavoro hanno presentato ricorso e il caso è ancora pendente. Molti imprenditori hanno finora rifiutato di rispettare le richieste del governo e del tribunale.
Da settembre la Clean Clothes Campaign richiede ai marchi globali che esternalizzano le loro produzioni in queste fabbriche di intervenire perché i lavoratori siano reintegrati immediatamente e senza condizioni, avviando negoziati veri con i sindacati.
Anche se alcuni marchi hanno assunto qualche iniziativa in questo senso, gli sforzi compiuti sono del tutto insufficienti e vanno pertanto intensificati per consentire l’esercizio di un diritto fondamentale come quello di sciopero.
H & M e Zara sono tra le società che hanno più rapporti commerciali con le imprese in Cambogia. Firmate subito l’appello verso i big della produzione tessile globale, inclusa GAP. Il suo fornitore United Apparel infatti è anche coinvolto in un grave caso di violazione dei diritti umani nei confronti di un sindacalista, Sous Chantha.
Scontri alla Wuhan
17/1/2011 Centinaia di lavoratori della Wuhan 3541 Garment General Factory di Wuhan, Hubei (Cina) si sono scontrati per ore con la polizia nel tentativo di impedire la fuga del titolare dell’azienda, che con la protezione delle forze dell’ordine cercava di sottrarsi al pagamento dei salari arretrati. La Wuhan 3541 produceva divise per l’esercito prima del fallimento avvenuto nel 2007. Da allora i 4mila dipendenti si battono per ricevere giustizia. Ogni anno si registrano in Cina oltre 80mila proteste di piazza per cause di lavoro, ma poco trapela attraverso la stampa per via della rigida censura imposta dal governo.
(Asia news, citato in: http://chinastrikes.crowdmap.com/reports/view/62)
Tunisia regno del jeans italiano?
15/01/2011 L’Italia è con quasi 5 miliardi di euro di interscambio il secondo partner commerciale [della Tunisia] dopo la Francia. Soprattutto - racconta l’inviato del Sole 24 ore Alberto Negri - è il paese che ai tempi di Craxi e Andreotti ha insediato Ben Alì, come testimoniò in modo inequivocabile il capo del Sismi, Fulvio Martini, alla Commissione stragi del Parlamento il 6 ottobre 1999”
In Tunisia ci sono oggi oltre 800 aziende italiane. Il primo posto lo occupa il tessile-abbigliamento, con 300 piccole e medie imprese, ma anche con grandi gruppi come Benetton, Miroglio-Gvb, Marzotto e Tacchini.
Nella città di Kasserine, uno degli epicentri della rivolta popolare, Benetton possiede uno stabilimento, rimasto chiuso per giorni in seguito ai disordini, dove produce maglieria e denim. In Tunisia sono presenti anche imprese come Replay e Diesel: il paese è considerato il regno del denim, un operaio costa 200 euro al mese, per 10 anni non si pagano tasse. Le lavanderie industriali che servono il settore possono contare fino a 500 addetti, come l’azienda di Alessandra Ingrosso, trevigiana, con sede ad Hammamet.
(Il Sole 24 ore, 11/1/2001, 15/1/2011; La Tribuna di Treviso, 14/1/2011)
Salari dignitosi all'AltaGracia
30/12/2010 - E’ la prima fabbrica a pagare un salario dignitoso, frutto di un accordo fra il produttore Knights Apparel, il sindacato e l’ente di monitoraggio Worker Rights Consortium. Si chiama AltaGracia, ubicata nell’omonima zona franca della Repubblica Dominicana, occupa 130 persone e produce abbigliamento per le università statunitensi. Un esempio da seguire.
(http://www.wikio.com/video/alta-gracia-project-3719165)
NIente cassa ai lavoratori della Diadora
17/12/2010 Negata dalla Regione Veneto la proroga della cassa integrazione agli 84 lavoratori della Diadora, acquisita nel giugno 2009 dalla Lir della famiglia Polegato (Geox), che non sono stati riassorbiti nella nuova Diadora Sport o ricollocati in altre aziende. A rischio i posti di lavoro. (http://tribunatreviso.gelocal.it/)
Bangladesh, ancora vittime per il tessile
14/12/2010 - Quanti operai devono ancora morire di lavoro prima di porre fine a condizioni di sicurezza miserabili nelle fabbriche bengalesi?
Questo è il risultato del fallimento delle imprese, del governo e dei fornitori nell’adottare misure preventive in grado di cambiare radicalmente le condizioni di salute e sicurezza nell'industria tessile bengalese
Leggi l'articolo su Altreconomia
Almeno 28 lavoratori tessili del Bangladesh sono morti e decine di altri sono stati feriti dopo che un incendio scoppiato il 14 dicembre al 9 ° e 10 ° piano della That's Sportswear E Ltd, stabilimento situato a 16 miglia dalla capitale Dhaka. Diversi lavoratori sembra siano morti soffocati, mentre altri sono corsi incontro alla morte cercando di sfuggire al palazzo in fiamme o sono stati calpestati dai loro colleghi che si precipitavano verso le uscite.
La fabbrica produceva per grandi buyer internazionali come Gap e Wrangler (VF Corporation), così come per il marchio BF Fashion d Hong Kong. Essa appartiene al noto gruppo Ha-meem, uno dei più grandi produttori del paese, con una storia poco edificante da punto di vista dei diritti. L'azienda è nota per l’utilizzo di subappalti non autorizzati, che induce a pensare che diversi committenti ignorino di avere parte della loro produzione in questa fabbrica.
La Clean Clothes Campaign (CCC) e le altre organizzazioni che operano in difesa dei diritti del lavoro hanno regolarmente contattato le imprese clienti della Ha-meem in relazione alle violazioni della libertà di associazione sindacale e di altri diritti. Secondo il sito web di Ha-meem Group, tra i loro acquirenti vi sono Walmart, H&M, Next, JC Penney, Kohl's, Squeeze, Sears, Target Store, Shoppes Charme, Carrefour, Inditex, Miss Etam, Migros e Celio.
I primi testimoni oculari indicano che almeno 2 delle 6 uscite erano bloccate, e questo è un fatto ricorrente. L'industria dell'abbigliamento del Bangladesh è nota per i problemi cronici in materia di sicurezza, come uscite le di sicurezza bloccate o inaccessibili, il malfunzionamento delle attrezzature antincendio, che spesso portano a incidenti mortali. Da anni la Campagna Abiti Puliti (CCC) chiede ai marchi di abbigliamento di adottare misure stringenti per affrontare le precarie condizioni di sicurezza dei partner commerciali in Bangladesh. Nonostante la gravità assoluta della situazione, sia le imprese che i governi hanno fallito il loro compito di garantire ai lavoratori condizioni di lavoro sicure.
Le misure risolutive indicate dalle organizzazioni della società civile internazionale e dalla CCC includono:
- un riesame approfondito di tutti gli impianti di produzione multipiano,
- ispezioni da parte di esperti in sicurezza antincendio,
- possibilità per i lavoratori di denunciare le situazioni di rischio o violazione
- garanzia che i lavoratori possano organizzarsi in sindacati e negoziare le loro condizioni di salute e sicurezza.
La CCC, insieme alle organizzazioni ILRF, WRC e MSN invita i clienti della Ha-meem Group ad assicurarsi che i feriti ricevano tutte le cure mediche necessarie e che i parenti delle vittime siano risarciti per le perdite di reddito attuali e future
Violazioni di NESTLE' in Indonesia
06/12/2010 - Per più di 3 anni, Nestlé ha violato i diritti sindacali di base nello stabilimento Nescafé di Panjang, in Indonesia.
SBNIP, riconosciuto per dieci anni come il sindacato che rappresenta i lavoratori, ha cercato di esercitare il diritto di contrattazione per negoziare i termini e le condizioni di impiego.
La risposta dell'azienda è stata quella di perseguitare i membri del sindacato, traferirli, e metterli sotto sorveglianza video.
Poichè le intimidazioni non hanno avuto effetto, l'azienda ha creato un sindacato falso e ora insiste sul fatto che esso debba partecipare a qualsiasi negoziato.
UITA - La Federazione sindacale mondiale che rappresenta i lavoratori dell'industria agroalimentare - ha appena lanciato una grande campagna online che mira ad inviare migliaia di messaggi di protesta a Nestlé.
Il messaggio è semplice:
Stop alla pressione sui vostri lavoratori - e iniziate a parlare con loro.
Chiesto rinvio a giudizio per D&G
19/11/2010 Chiesto dal pm di Milano, Laura Pedio, il rinvio a giudizio per gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana accusati di truffa ai danni dello Stato e di infedele dichiarazione dei redditi. I fatti risalgono al biennio 2004/2005 e si riferiscono alla presunta evasione delle imposte gravanti su un imponibile di circa un miliardo di euro. (Il Sole 24 ore, 20/11/2010)
(2010) REPORT - Vittime della moda
Campagna per l'abolizione della sabbiatura dei Jeans
27 novembre 2010 - La Clean Clothes Campaign ha lanciato un appello ai produttori di jeans e ai governi per fermare la sabbiatura del denim. La sabbiatura (sandblasting) può causare una forma acuta di silicosi, malattia polmonare mortale. La tecnica sta mettendo in grave pericolo la vita di migliaia di lavoratori. È spesso eseguita in piccoli laboratori dell'economia sommersa nei paesi produttori di jeans come il Bangladesh, l'Egitto, la Cina, la Turchia, il Brasile e il Messico dove quasi tutti i jeans venduti in Europa sono prodotti. Nella sola Turchia, sono stati documentati 46 casi di decessi di sabbiatori a causa della silicosi.
Si tratta probabilmente solo la punta dell'iceberg.
In altri paesi non esistono statistiche disponibili ma il numero di vittime e potenziali vittime future è stimato essere molto elevato. La Clean Clothes Campaign (CCC), in collaborazione con il Comitato di Solidarietà dei Lavoratori della Sabbiatura in Turchia (Solidarity Committee of Sandblasting Labourers), chiede ai produttori di jeans di garantire che la sabbiatura sia eliminata dalla filiera produttiva. Un certo numero di aziende del settore moda e della distribuzione hanno già vietato la vendita di jeans sandblasted o hanno annunciato pubblicamente che li avrebbero eliminati gradualmente nei prossimi mesi. Tra questi Lévi-Strauss & Co. e Hennes & Mauritz (H & M).
La CCC invita i governi dei paesi produttori di jeans a mettere fuori legge la sabbiatura del denim, ad assicurare l’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e a garantire pensioni di invalidità ai sabbiatori che hanno contratto la silicosi. Anche i consumatori nei paesi importatori possono dare un contributo concreto assicurandosi che i jeans che acquistano non sono stati trattati con questo processo potenzialmente mortale.
I consumatori possono anche firmare un appello sul sito internazionale della CCC per sostenere le richieste della Campagna verso l'industria dei jeans e i governi.
Da gennaio 2011 la CCC avvierà un’azione di pressione diretta alle aziende di jeans che rifiuteranno di bandire la tecnica della sabbiatura dalla produzione alla quale tutti i consumatori partecipare attivamente.
Firma l'appello per l'abolizione della sabbiatura. Puoi fare la differenza!
Le organizzazioni possono aderire inviando una email a deb(at)lillinet.org.
Scarica la scheda di approfondimento sulla sabbiatura (sandblasting)
Scarica il report "Vittime della moda" (versione italiana)
Rinvio a giudizio per dirigenti Marzotto
12/11/2010 Rinviati a giudizio i dirigenti della ex Lanerossi e della Marzotto accusati a vario titolo di disastro ambientale, lesioni colpose e omicidio colposo plurimo nella fabbrica tessile di Praia a Mare (Cs), di proprietà del gruppo Marzotto, che ha chiuso nel 2004 lasciandosi alle spalle in quasi 50 anni di attività 40 morti e 60 malati di tumore. Il processo inizierà il 19 aprile 2011 (www.vicenzapiu.com)
Campagna dei lavoratori della DHL
31/10/2010 DHL è di fronte a una grande campagna sindacale organizzata da due federazioni sindacali mondiali (ITF e UNI). Visita il nuovo sito web della campagna da cui è possibile anche inviare un messaggio alla società
(fonte Labourstart)
Difensori dei diritti dei lavoratori rischiano il carcere
30/10/2010 Questa volta è il governo vietnamita che è in difetto. Hanno arrestato tre giovani difensori dei diritti dei lavoratori che devono affrontare fino a 15 anni di reclusione per aver organizzato a gennaio uno sciopero di circa 10.000 lavoratori di una fabbrica di scarpe.
Nella foto i tre attivisti: Doan Huy Chuong, Nguyen Hoang Quoc Hung e Do Thi Minh Hanh (fonte Labourstart)
Il loro processo è previsto incominci questo mese, quindi è urgente inondare le autorità con messaggi di protesta.
Dedica un momento a inviare il tuo messaggio adesso
Il Parlamento EU sul Made in Italy
21/10/2010 Il parlamento europeo ha approvato a grandissima maggioranza una proposta di regolamento che renderà obbligatoria l’etichettatura di origine per i prodotti provenienti dai paesi extra Ue. Il testo deve ora essere approvato dal Consiglio.
(2010) ALDI vuol mettere il bavaglio ai suoi critici
ALDI non ha trovato divertente l’iniziativa degli attivisti del CIR per informare i consumatori e così ha proceduto per vie legali. Il materiale distribuito rappresenta la parodia di una pubblicità in cui oltre alle accattivanti offerte di abbigliamento e calzature, vi sono informazioni concernenti le violazioni dei diritti dei lavoratori che sono state rilevate nelle fabbriche in Asia. La Clean Clothes Campaign aveva già criticato ALDI per non avere affrontato le spaventose condizioni di lavoro presenti lungo la catena di approvvigionamento, come il lavoro forzato straordinario non retribuito, i salari da fame, i problemi di salute e sicurezza.
Finora il discount non ha mostrato alcun segno di volontà di cambiamento o nemmeno di dialogo. Invece di affrontare questa situazione allarmante seppure con grave ritardo, ALDI tenta di imbavagliare i suoi critici attraverso azioni legale.
Chiediamo alla ALDI di:
* Interrompere immediatamente tutte le azioni legali contro il CIR;
*Implementare il codice di condotta elaborati dalla CCC in tutta la sua catena di approvvigionamento, e garantire che i fornitori siano controllati da organismi indipendenti;
* Cambiare le proprie pratiche di acquisto in modo che i suoi fornitori sono in grado di aderire a standard sociali;
* Aumentare la trasparenza: il nome dei suoi fornitori nei paesi di produzione e di riferire periodicamente sulle condizioni di lavoro nei paesi consumatori;
* Garantire il rispetto delle norme sociali in tutta la catena di fornitura. A sostegno di queste richieste, inviate una e-mail di protesta ad Aldi Nord qui La parodia del volantino ALDI potete scaricarla qui
A sostegno di queste richieste, inviate una e-mail di protesta ad Aldi Nord qui (scrivete nome, cognome, indirizzo email)
La parodia del volantino ALDI potete scaricarla qui
Solidarietà con le operaie della Omsa
15/10/2010 Le 347 operaie della Omsa, storica fabbrica di calze e collant di Faenza, ancora in attesa di conoscere il loro destino dopo la decisione della Golden Lady di trasferire le produzioni in Serbia, sono state protagoniste della puntata di ieri sera ad Anno Zero. Sperano nella riconversione della loro fabbrica e continuano a chiedere alle donne di solidarizzare con loro boicottando i marchi Philippe Matignon, Sisi, Omsa, Golden Lady, Hue Donna, Hue Uomo, Saltallegro e Serenella.
(2010) Rilasciati su cauzione gli attivisti del BCWS in Bangladesh
Vorremmo ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto il Bangladesh Center for Worker Solidarity (BCWS), e hanno contribuito alla liberazione di Kalpona, Babul e Aminul. Si tratta tuttavia solo del primo passo verso la giustizia per gli imputati. Essi infatti devono ancora affrontare le denunce mosse contro di loro dal governo. Inoltre, la registrazione del BCWS come ONG non è stata ancora ripristinata.
Ulteriori approfondimenti (in inglese)
Restate sintonizzati per seguire gli sviluppi e eventuali richieste di intervento
(2010) Continuano le violenze contro i lavoratori della Viva Global
Anwar Ansari, sindacalista presso la Viva Global, fornitore indiano della grande catena di distribuzione nordeuropea Marks &Spencer, è stato liberato nella notte di mercoledì 25 agosto dopo aver passato un giorno intero nelle mani dei suoi rapitori, picchiato a sangue e minacciato di morte. Mentre Anwar Ansari veniva prelevato con la forza ai cancelli della fabbrica, sedici lavoratrici subivano un brutale pestaggio. Alla Viva Global di Gurgaon sono in atto da tempo agitazioni per migliori condizioni di lavoro.
I lavoratori della Viva Global sono stati aggrediti da energumeni armati di bastoni e mazze da hockey all'arrivo in fabbrica per l'inizio del turno di lavoro, alle 9,30 di mattina di mercoledì 25 agosto. Uno degli aggressori è stato identificato nell'intermediario che reclutava manodopera per l'azienda. Si tratta di un atto intimidatorio, di particolare gravità, diretto a stroncare la lotta che i lavoratori conducono da mesi contro una lunga serie di abusi: licenziamenti illegali e mirati, straordinari obbligatori ed eccessivi, retribuzioni al di sotto dei minimi di legge, abusi fisici e verbali, mancato pagamento dei contributi previdenziali, rifiuto di fornire acqua potabile.
Nelle ultime settimane sono aumentati i licenziamenti, le minacce e la violenza fisica. Lunedì 23 agosto, funzionari aziendali hanno tentato di impedire ai lavoratori di entrare in fabbrica. Quello stesso giorno si è tenuto un incontro fra la direzione della Viva Global, il ministero del lavoro e il sindacato Garment and Allied Workers Union (GAWU), che si è concluso con un accordo in base al quale i licenziamenti avrebbero dovuto essere ritirati e ripristinato un clima di confronto civile. Dopo i fatti di mercoledì, i lavoratori della Viva Global e un gruppo di sostenitori hanno inscenato proteste fuori dai cancelli della fabbrica. La presidente del sindacato di fabbrica, Annanya Bhattacharije, ha iniziato uno sciopero della fame, interrotto solo dopo la liberazione di Anwar Ansari.
Scrivi alla Viva Global per chieder di far cessare immediatamente ogni forma di violenza contro i membri del sindacato e di reintegrare i lavoratori licenziati come previsto dal contratto firmato con il ministero del lavoro
(scrivi nell'oggetto: Stop violence against Viva Global workers)
(2010) Arrestati Kalpona Akter e Babul Ahkter del BCWS
Il BCWS è una delle più autorevoli organizzazioni che operano in difesa dei lavoratori dell'abbigliamento, la principale industria del Bangladesh, conducendo attività di training rivolte ai lavoratori e di advocacy pubblico e legale per migliori condizioni di lavoro nel settore. Kalpona Akter, direttrice esecutiva del BCWS, è un'ex bambina lavoratrice. Babul Ahkter è il direttore esecutivo della Federazione dei lavoratori dell'abbigliamento e dell'industria del Bangladesh. L'arresto, basato sull'accusa infondata di aver fomentato disordini, si inquadra nella strategia del governo di trovare facili capri espiatori fra le organizzazioni per i diritti umani piuttosto che affrontare alla radice le vere cause delle agitazioni operaie, ovvero le miserabili condizioni di lavoro nel settore. Con un salario di 20 centesimi di dollaro all'ora il Bangladesh detiene il record della forza lavoro meno retribuita fra i maggiori produttori mondiali di abbigliamento. L'incuria e l'indifferenza per la sicurezza dei lavoratori è all'origine di numerosi incidenti mortali causati da incendi e crolli di fabbriche. L'arresto dei dirigenti di BCWS arriva al termine di una serie di atti repressivi condotti dal governo contro l'organizzazione, che il 3 giugno scorso si è vista revocare lo status di ong, confiscare i beni e bloccare i conti correnti. Meno di due settimane dopo, un membro dello staff, Aminul Islam, è stato trattenuto dalle forze di sicurezza e percosso gravemente prima di riuscire a fuggire.
(2010) Esponenti del BCWS in Bangladesh temono per la propria vita
Dopo aver annunciato il 29 luglio la sua offerta per l’aumento dei minimi salariali, il governo del Bangladesh ha fatto sapere che non avrebbe tollerato oltre il clima di “anarchia” che si sarebbe instaurato nell’industria tessile al culmine di un periodo di violente agitazioni sindacali. La proposta di portare a 3 mila taka (32 euro) le retribuzioni mensili degli addetti del settore non soddisfa tuttavia le richieste dei lavoratori che continuano a protestare per le strade, incuranti dei mandati di arresto che sono stati emessi in questi giorni a centinaia contro di loro e contro diversi esponenti di organizzazioni non governative.
La repressione ha colpito in particolare, con estrema durezza, il BCWS, una delle più autorevoli organizzazioni a difesa dei diritti dei lavoratori, accusata in un documento ufficiale governativo di “aver fomentato disordini e agitazioni nel settore dell’abbigliamento”. Una vera e propria caccia all’uomo, ad opera di diversi settori degli apparati di polizia, si è scatenata contro esponenti e membri dello staff del BCWS, con pestaggi e intimidazioni nei confronti di familiari e colleghi, e tentando di estorcere con l’inganno informazioni utili per rintracciare il luogo dove hanno trovato rifugio. Il personale del BCWS preso di mira dalle autorità ha buoni motivi per temere per la propria sicurezza e per quella di familiari e colleghi, e corre seri rischi di subire una detenzione illegale e un trattamento disumano e degradante per mano delle autorità.
Scrivete (ancora una volta) alle autorità del Bangladesh per chiedere che siano ritirate le denunce penali e garantita protezione ai leader dei lavoratori sotto attacco. Poiché ci sono fondati motivi per ritenere che un’azienda in particolare, la Nassa Global Wear company, sia coinvolta nella repressione verso il BCWS, vi chiediamo di inviare un messaggio al titolare del Nassa group per condannare il suo comportamento.
(scrivete nell’oggetto della lettera al governo: Withdraw criminal cases against BCWS
scrivete nell’oggetto della lettera al Nassa group: Stop harmful actions against BCWS)
Proposta governativa per i nuovi minimi salariali.
Il 30 luglio il governo del Bangladesh ha annunciato di voler portare il salario minimo mensile a 3 mila taka (32 euro) con decorrenza 1. novembre 2010. Nella somma proposta verrebbero calcolati 2 mila taka di paga base, 800 taka di contributo per l’affitto dell’alloggio e 200 taka per l’assicurazione sanitaria. La retribuzione per gli apprendisti salirebbe a 2.500 taka (27 euro) contro gli attuali 1.200 taka (13 euro).
L’annuncio dei nuovi minimi ha riacceso le proteste dei lavoratori che hanno affrontato le forze dell’ordine in violenti scontri per le strade cui sono seguiti numerosi arresti e migliaia di denunce, spesso presentate in modo anonimo. La stampa ha riportato dichiarazioni governative secondo cui all’origine dei disordini ci sarebbero “provocatori”, “sabotatori” e perfino “terroristi” che istigherebbero i lavoratori alla rivolta, un modo per sminuire l’importanza delle istanze che essi esprimono.
Il 31 luglio un quotidiano locale ha pubblicato una lista di dieci persone ricercate dalle autorità in relazione ai disordini, fra queste Kalpona Akter, Babul Akhter del BWCS e un consulente sindacale, Montu Ghosh, quest’ultimo arrestato la sera del 30 luglio. Gli altri leader sindacali citati nell’articolo sono Mahbub Islam, Bazlur Rashid Feruz, Moshrefa Mishu, Sultan Bahar, Nasim Nasrin, Ruhul Amin e Abul Hossain.
La causa immediata della revoca inflitta al BCWS dello stato giuridico di ong potrebbe ricollegarsi al sostegno offerto a un gruppo di lavoratori impegnati nel dare vita a un sindacato indipendente in una particolare fabbrica di abbigliamento, la Nassa Global Wear. I lavoratori si erano rivolti al BCWS nell’aprile scorso per chiedere assistenza nella risoluzione di una vertenza con i titolari dell’azienda, ufficiali dell’esercito in congedo, che potrebbero aver usato la loro influenza politica per far revocare al BCWS la registrazione come ong. A riprova di questo c’è il fatto che i dirigenti della Nassa erano stati in grado di informare i lavoratori il 6 giugno dell’imminente chiusura del BCWS, quattro giorni prima che il BCWS ricevesse dagli uffici competenti la notifica ufficiale della cancellazione.
Nassa Global Wear produce per diversi marchi europei e nordamericani, fra i più importanti Wal-Mart, Carrefour, Tesco e H&M. BCWS riferisce di aver discusso del caso con funzionari di Wal-Mart in Bangladesh.