I marchi internazionali devono intervenire
FEBBRAIO 2009 – Nel novembre 2008 la Clean Clothes Campaign e LabourStart hanno lanciato un appello urgente volto a sostenere i lavoratori turchi della DESA ingiustamente licenziati che producevano per alcuni dei più lussuosi marchi europei. Da allora il tribunale turco ha confermato che i lavoratori della DESA sono stati licenziati per attività sindacali; numerosi incontri hanno avuto luogo tra il sindacato e la DESA. Nonostante questo apparente progresso, poco è cambiato per i lavoratori e le lavoratrici nelle fabbriche del lusso.
C’è bisogno di maggiore pressione per spingere la DESA e i suoi clienti ad assumere comportamenti responsabili verso i lavoratori e proteggere il loro diritto a formare un sindacato libero e
indipendente.
Troppe parole, ancora pochi fatti
Il nostro primo appello invitava le imprese committenti a partecipare ad un incontro coordinato dal sindacato internazionale International Textile Garment and Leather Workers Union fissato per il 20 dicembre 2008. A quanto ci risulta nessuno dei committenti ha acconsentito a partecipare.
Fortunatamente per loro, il focus si è spostato dalla necessità di ottenere un incontro tra i committenti quando la DESA ha improvvisamente accettato di incontrare i sindacati per discutere delle loro richieste. Il primo incontro è avvenuto venerdì 19 dicembre e secondo i presenti è stato utile e costruttivo. Tuttavia nessun accordo era stato raggiunto circa il reinserimento dei lavoratori licenziati e pertanto si decise di aggiornare l’incontro al lunedì successivo
Lunedì 22 dicembre i rappresentanti del Deri Is si incontrarono nuovamente con la dirigenza di DESA, ma questa volta l’incontro fu meno fruttuoso; non solo nessun accordo era stato raggiunto, anche il clima era diverso visto che DESA aveva ritrattato su alcuni punti discussi il 19. Nonostante la richiesta del DERI IS di rilasciare un documento che tenesse traccia degli avanzamenti discussi, nulla di scritto è mai pervenuto.
Dal 22 dicembre si sono tenuti diversi altri incontri, l’ultimo il 13 gennaio. Nesun progresso è stato fatto e nessun documento prodotto. Siamo preoccupati che DESA stia oggi utilizzando tali incontri per fermare la campagna, visto che non si capisce perchè l’azienda continui a rifiutare qualunque documento scritto. E’ importante mostrare a DESA che fare incontri su incontri non porta ad una risoluzione ed esortarla a riprendere un approccio positivo allo scopo di giungere ad una risoluzione.
Il tribunale conferma le discriminazioni sindacali
Il 24 dicembre Emine Arslan operaia dalla fabbrica di Sekafoy e altri quattro lavoratori della fabbrica di Düzce sono finalmente riusciti a portare il loro caso in tribunale. Il tribunale ha rilevato che sono stati licenziati in seguito all’attività sindacale e che devono essere reintegrati o adeguatamente risarciti per ingiusto licenziamento. DESA ha presentato ricorso. Il 20 di gennaio, il tribunale ha esaminato altri 3 casi, seguiti da ulteriori 5 il 22 gennaio 2009. Secondo il tribunale, tutti gli 8 lavoratori sono sono stati illegalmente licenziati per motivi sindacali. DESA deve ancora dare risposte in merito alle sentenze, invece di continuare a rifiutare la reintegrazione di Emine e di una serie di altri lavoratori.
Sentenza del tribunale su Emine Arslan
I continui licenziamenti dimostrano la necessità di una rappresentanza sindacale
30 lavoratori licenziati a causa della ‘crisi economica’ 4 dei quali erano membri del sindacato. Dato che questo è avvenuto nel corso di una controversia in corso, si potrebbe sostenere che, se veramente DESA avesse voluto dar prova di buona fede al Deri Is, avrebbe evitato di licenziare ancora lavoratori loro membri. Questi quattro, Aysen Yilmaz, Nursen Meydan, Serda Yilmaz e Zeki Acar, continuano a lottare per la reintegrazione. Ci risulta che DESA sarebbe d’accordo alla loro reintegrazione se solo i committenti piazzassero ordini di produzione ma nulla stato messo per scritto.
I lavoratori e le lavoratrici in tutto il mondo sono di fronte al rischio di pesanti esuberi a causa della crisi economica mondiale in continuo peggioramento. Non sappiamo se DESA sta davvero afrontando difficoltà finanziarie, o se questo è solo un altro modo di intimidire i lavoratori. In entrambi i casi la situazione rende ancora più urgente la necessità di ottenere il riconoscimento del sindacato e di garantire che i lavoratori siano adeguatamente consultati in caso di qualsiasi piano di esubero futuro.
Dai marchi nessuna assunzione di responsabilità
L’ultimo appello all’azione rivolto ai committenti di DESA non ha prodotto alcun tipo di assunzione di responsabilità per cercare di migliorare le condizioni alla DESA. Questi includono Prada, Mulberry, Nicole Fahri (di proprietà di French Connection), Luella, Samsonite, e Aspinalls di Londra.
Luella and Samsonite non hanno mai risposto alle lettere e neppure hanno contattato il sindacato internazionale ITGLWF, il Deri Is o la Clean Clothes Campaign.
Prada, di gran lunga il principale cliente della DESA, ha risposto alle email della Clean Clothes Campaign italiana e del sindacato ITGLWF ma la risposta è stata deludente. Prada ha semplicemente sottolineato che un audit era stato fatto e nessun problema era stato riscontrato, che membri del sindacato erano in fabbrica così non ci poteva essere un problema di libertà di associazione sindacale e che avrebbe atteso l’esito dei procedimenti giudiziari.
Aspinals of London a novembre ha risposto per dire che stava “investigando”. Non abbiamo più saputo nulla da allora. Nicole Fahri ha detto la stessa cosa e poi ha smesso di rispondere alle email.
Altri marchi coinvolti nel caso, ma non nella campagna includono il gigante spagnolo El Corte Ingles e le aziende di grande distribuzione inglese Marks & Spencer e Debenhams. Essi hanno continuato a essere più attivi rispetto agli altri e hanno contattato DESA per sollevare le loro preoccupazioni. M & S ha anche commissionato un nuovo audit che riteniamo essere più credibile, ma che non è mai stato reso pubblico o condiviso con gli altri marchi, i sindacati e gli attivisti. Nessuno dei marchi ha mostrato disponibilità a lavorare insieme e nessuno ha intrapreso il tipo di azione proattiva necessaria a sostenere una positiva soluzione del caso.
La nostra risposta: abbiamo bisogno di azioni non di ispezioni
la Clean Clothes Campaign ha nuovamente contattato tutti i committenti la scorsa settimana con una lettera congiunta. Con una dichiarazione pubblica il sindacato internazionale ITGLWF, insieme con i sindacati spagnoli, italiani e inglesi ha chiesto loro di intervenire per risolvere caso.
Lettera inviata dalla CCC
Quasi tutti i committenti hanno fatto menzione di audit condotti presso la fabbrica come parte della loro ‘risposta’ alle accuse. Comprendiamo la necessità di chiarire i fatti, ma questo caso è aperto dall’aprile 2008. I fatti sono noti e piu ‘ispezioni’ non cambieranno la situazione. L’unico modo per risolvere questo caso è attraverso la negoziazione e le vie legali.
Nessuno dei marchi si è impegnato in una qualunque forma di negoziato, nonostante i ripetuti tentativi per spingerli a farlo. Invitiamo i committenti a chiedere alla DESA di fornire documenti scritti di tutte le riunioni che si svolgono e un report sullo stato di avanzamento del processo negoziale. Li invitiamo nuovamente a prendere parte essi stessi a questo processo partecipando agli incontri sia con il sindacato, sia con DESA.
Prada, insieme ad altri marchi ha dichiarato che “qualora emergessero prove di violazioni di normative giuslavoristiche, comprovate dale autorità turche” sarebbe stata pronta a prendere le misure necessarie. Il tribunale ha confermato tali violazioni ma nel mese successivo alla decisione del giudice, Prada e gli altri si sono dimostrati tutt’altro che disposti a prendere le ‘misure necessarie.
I marchi e la DESA devono sapere che la campagna non sarà messa a tacere attraverso il ricorso a riunioni fasulle e inutili indagini. Il tribunale turco ha accolto le denunce fatte dai lavoratori e questo basta. I marchi devono ora prendere le iniziative che hanno promesso per garantire che i lavoratori ottengano la giustizia che meritano.