A due anni dal crollo della Spectrum al via il fondo per i risarcimenti delle vittime costituito dai buyer con la vistosa eccezione di Carrefour. In occasione della Giornata mondiale per la salute e sicurezza, celebrata il 28 aprile, L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha presentato il suo rapporto annuale: sono 2,2 milioni le persone che perdono la vita ogni anno nei luoghi di lavoro a causa di incidenti e malattie professionali, mentre il numero degli infortuni ammonta a 270 milioni. I casi denunciati di malattie professionali sono pari a 160 milioni, con un danno economico quantificabile nel 4% del PIL globale. L’OIL associa il tema della sicurezza a quello della dignità del lavoro: dove non c’è garanzia dell’insieme dei diritti contrattuali e sindacali, non ci può essere prevenzione dai rischi. Ma in una società globalizzata, dove la fabbrica ha scala planetaria, ha ancora senso un computo per nazione, che vede per esempio l’Italia non discostarsi dalla triste cifra di 4 morti al giorno?
Se riflettessimo sul numero di persone che in altre parti del mondo quotidianamente si ammalano, subiscono infortuni, perdono la vita per produrre le nostre merci, i paesi occidentali dovrebbero seriamente rivedere i propri calcoli e predisporre urgenti contromisure.
A chi appartengono i morti della Spectrum-Shariyar?
L’11 aprile 2005, a Savar, in una zona industriale a pochi chilometri dalla capitale del Bangladesh, crollava un edificio di nove piani, sorto e ampliato abusivamente su un terreno paludoso, che ospitava il maglificio Spectrum, fornitore di grandi imprese e distributori europei, fra i più noti Zara-Inditex e Carrefour. Morirono 64 persone e i feriti furono circa 80, di cui 54 gravi (vedi: www.abitipulit.org, “Azioni urgenti”; Newsletter n. 5/2006).
Ci sono voluti due anni di intenso lavoro, fra ricognizioni, trattative e pressioni pubbliche, ma alla fine il 1° aprile scorso gli operai rimasti invalidi e le famiglie degli operai deceduti nel crollo della Spectrum hanno cominciato a ricevere il primo pagamento dal fondo costituito da alcune delle imprese committenti per assicurare un vitalizio mensile alle famiglie colpite, che nel frattempo sono sopravvissute indebitandosi avendo ricevuto solo una modesta cifra una tantum dal datore di lavoro e dal governo per le necessità immediate. Si tratta per il momento di 22 persone per un totale di 3mila dollari erogati, prima tranche dello stanziamento iniziale di 60mila dollari in via di destinazione.
La prima a costituire il fondo è stata la spagnola Inditex, proprietaria del marchio Zara, a cui si sono aggiunte la catena di distribuzione tedesca KarstadQuelle (anche grazie alle pressioni della chiesa evangelica), New wave group (Svezia), Scapino (Olanda), Solo invest (Francia).
Hanno rifiutato di contribuire al fondo: Carrefour (Francia), secondo la quale questo tipo di risarcimento spetta al governo bengalese, Cotton group (Belgio); New yorker, Steilmann, Kirsten Mode e Bluhmod (Germania).
Il fondo, che dovrà raggiungere la somma di 533mila euro, sarà amministrato da un consiglio di fiduciari in rappresentanza di tutte le parti contribuenti: oltre alle imprese, è previsto che vi partecipino i proprietari della Spectrum, il governo del Bangaldesh, l’associazione dei produttori ed esportatori di abbigliamento del Bangladesh (BGMEA), più eventuali sottoscrizioni di privati e associazioni. La gestione corrente è affidata all’ong Incidin Bangladesh, partner di Oxfam Gran Bretagna, e alle organizzazioni sindacali locali.
Le Clean clothes campaign francese e belga hanno in programma nelle prossime settimane iniziative nei confronti di Carrefour per spingerla ad assumersi le proprie responsabilità. La CCC belga di lingua francese ha pubblicato un rapporto aggiornato sul disastro della Spectrum e sulle condizioni di salute e sicurezza nell’industria dell’abbigliamento del Bangladesh scaricabile dal sito: www.vetementspropres.be.
INVIATE UNA LETTERA A COTTON GROUP, STEILMANN, KIRSTEN MODE, BLUHMOD E NEW YORKER per sollecitare l’adesione al fondo di risarcimento della Spectrum – link non più valido