Il 15 Dicembre, dopo varie posticipazioni, si è tenuta la prima audizione degli accusati, in cui per la prima volta le organizzazioni hanno potuto rispondere alle accuse di diffamazione, focalizzando l’intervento sul merito: le violazioni relativa alla possibilità di formare liberi sindacati e di esprimere liberamente la propria opinione, in nome del diritto che qualunque individuo o organizzazione dovrebbe avere di denunciare fatti come questi, in qualunque luogo si verifichino.
Il 20 Dicembre è stato ascoltato il board della FFI/JKPL. Avrebbe dovuto esserci una nuova udienza il 12 Febbraio che però è stata spostata al 19 Febbraio; il giudice dovrà decidere se modificare l’attuale ordinanza restrittiva temporanea in una definitiva, oppure cancellarla, autorizzando nuovamente le organizzazioni in questione a prendere parola. Non è al momento possibile prevedere quali saranno gli esiti della vicenda giudiziale ma le organizzazioni in lotta a fianco dei lavoratori non intendono accettare una eventuale decisione oscurantista e antidemocratica.
L’11 Gennaio invece, la Clean Clothes Campaign ha ricevuto una lettera dallo studio legale Pramila Associates Advocate a nome della Fibres and Fabrics International (FFI) nella quale si minaccia di ricorrere per vie legali contro la campagna se questa non cessa immediatamente di diffondere informazioni circa le condizioni di lavoro nella fabbrica.
Dall’Agosto 2006 la Clean Clothes Campaign insieme all’India Committee of the Netherlands (ICN), fa pressione pubblicamente sulla FFI e sulle aziende sue attuali clienti – Ann Taylor, Armani, G-Star, Gap, Guess, Mexx and Rare- affinchè cessino le violazioni in corso. Una di queste consiste nella mancata possibilità per i lavoratori di denunciare i problemi esistenti, senza avere paura di rappresaglie.
La lettera dello studio legale Pramila Advocates accusa la Clean Clothes Campaign e l’ICN di avere ordito una cospirazione con la finalità di danneggiare gli affari, la reputazione e l’immagine della FFI pubblicando informazioni false. Pramila minaccia di procedere contro la Clean Clothes Campaign per avere compiuto azioni illegali incluso l’utilizzo criminale del sito, se questa non rimuove tutti gli articoli pubblicati e non cessa di fare pressione sui marchi perchè la FFI ritiri il ricorso presentato contro gli stakeholder locali.
Sebbene la lettera sia strutturata come una ingiunzione legale, i legali della Clean Clothes Campaign hanno rilevato la mancanza di qualunque base giuridica. Secondo la Clean Clothes Campaign si tratta di un chiaro esempio della attitudine della FFI che testimonia la non volontà di intraprendere un dialogo con le parti sociali. La Clean Clothes Campaign ha risposto alla lettera ribadendo la necessità di accettare il dialogo con i lavoratori e di iniziare un processo correttivo immediato insieme alle organizzazioni locali.
Uno degli elementi più sorprendenti di questa vicenda risiede nel fatto che diverse unità della FFI sono state certificate SA8000 mentre altre sembrano essere in fase di certificazione.
Il 29 Novembre la Clean Clothes Campaign ha scritto una lettera di protesta alla SAI in cui sottolineava la mancata reazione da parte del board della società di certificazione alle ripetute segnalazioni da parte della Clean Clothes Campaign che mettevano in evidenza le continue violazioni esistenti alla FFI. La Clean Clothes Campaign aveva anche segnalato più volte alla SAI le questioni aperte e le domande che gli attivisti dei diritti umani e i sindacati avevano posto all’azienda, compresa la grave situazione di riduzione degli spazi democratici dovuta all’ordinanza restrittiva emessa dal Tribunale Civile di Bangalore.
Tale ordinanza, restringendo le possibilità effettive di azione delle organizzazioni indiane, impedisce nei fatti il reale coinvolgimento dei lavoratori e quindi propone un sistema di relazione con gli stakeholder esattamente contrario a quello che dovrebbe essere garantito dal processo di certificazione.
Il 10 Novembre la SAI informava la Clean Clothes Campaign che “la certificazione SA8000 richiede la consultazione degli stakeholder da parte dell’organo di certificazione (CB). Siamo ora in attesa di ricevere un report dal CB che dettagli le consultazioni avvenute con i sindacati”. E’ difficile immaginare che una consultazione significativa possa essere avvenuta in presenza di un ordine restrittivo da parte del tribunale. Questo è un impedimento grave che minaccia alla base la possibilità di aprire un dialogo costruttivo che possa portare all’attuazione di un serio piano correttivo che parta dalle problematiche sollevate dai lavoratori. Secondo la Clean Clothes Campaign l’ordinanza del tribunale è un messaggio che indebolisce i lavoratori che sono posti in una situazione di delegittimazione.
La Clean Clothes Campaign e l’ICN hanno formalizzato un ricorso in conformità alle Linee Guida SAI ce mette in discussione la certificazione degli stabilimenti della FFI. A Dicembre la SAI ha risposto di avere preso in carico il ricorso e di essere impegnata a valutare l’operato dell’organismo di certificazione che ha condotto gli audit alla FFI insieme alla verifica dei report prodotti. Il 9 di gennaio la SAI ha annunciato l’intenzione di condividere i report con la Clean Clothes Campaign a breve.