Le organizzazioni di difesa dei diritti dei lavoratori invitano la Social Accountability International (SAI) a rilasciare informazioni sui buyers della fabbrica e le relazioni degli audit di ispezione
– Alle vittime del tragico incendio avvenuto in Pakistan sono negate informazioni cruciali per rivolgersi ai buyer coinvolti
– SAI e SAAS si rifiutano di cooperare per individuare i buyers internazionali della fabbrica o di rilasciare le conclusioni dei revisori accreditati
– La certificazione SA8000 ha attestato la buona salute della fabbrica Ali Enterprises che è andata a fuoco ed è costata la vita a quasi 300 lavoratori tessili
La Clean Clothes Campaign (CCC), il Worker Rights Consortium (WRC), il Maquila Solidarity Network (MSN), l’International Labor Rights Forum (ILRF) e ilNational Trade Union Federation Pakistan (NTUF) richiedono alla Social Accountability International (SAI) con sede a New York e la collegata struttura Social Accountability Accreditation Services (SAAS) a rilasciare tutte le informazioni in loro possesso riguardo la fabbrica tessile Ali Enterprises, dove circa 300 lavoratori hanno perso la vita nell’incendio del mese scorso. Solo un mese prima, la Ali Enterprises aveva ricevuto la certificazione SA8000 dal Registro Italiano Navale Group (RINA), società di ispezione accreditata dal SAAS (Social Accountability Accreditation Services).
La SA8000 è uno strumento che dovrebbe certificare il comportamento eticamente corretto delle imprese e della filiera di produzione verso i lavoratori attraverso il possesso di alcuni requisiti standard, tra cui il rispetto dei diritti umani, il rispetto dei diritti dei lavoratori, la tutela contro lo sfruttamento dei minori, le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro.
L’ 11 Settembre scorso quasi 300 lavoratori sono stati uccisi da un incendio divampato nella fabbrica che produceva jeans per l’esportazione. La fabbrica non era legalmente registrata presso il governo del Pakistan e non aveva assunto la maggior parte dei lavoratori con contratti di lavoro regolari. L’enorme bilancio delle vittime è il risultato di inadeguate uscite di sicurezza, scale bloccate e finestre sbarrate, che hanno impedito la fuga di molti lavoratori dall’incendio.
Nasir Mansoor dalla National Trade Union Federation in Pakistan ha dichiarato: “È incredibile che importanti aziende di abbigliamento e gli enti di accreditamento nascondano il loro coinvolgimento nella fabbrica Ali Enterprises o neghino la loro responsabilità nell’incendio. Le famiglie dei lavoratori deceduti e feriti meritano piena trasparenza in merito al ruolo delle organizzazioni di controllo, che hanno dato un certificato di buona salute per la sicurezza della fabbrica, e dei marchi che sono stati in grado di fare profitti a discapito della sicurezza dei lavoratori.”
In una risposta a una lettera della coalizione dei gruppi internazionali per i diritti dei lavoratori, SAI e SAAS hanno negato ogni responsabilità per l’incendio, opponendo un vincolo alla segretezza come ragione per la quale né loro né la società di revisione italiana, RINA, possono condividere tutte le informazioni di cui dispongono sulla fabbrica . Essi sostengono che sia RINA che SAAS stanno compiendo delle indagini, ma si rifiutano di condividere le loro informazioni con i rappresentanti dei lavoratori in Pakistan.
“I terribili eventi dell’11 settembre mettono in evidenza le debolezze del sistema di certificazione SAI, che ha gravemente deluso chi avrebbe dovuto proteggere”, ha detto Deborah Lucchetti della Clean Clothes Campaign italiana. “Se SAI vuole mantenere un minimo di credibilità deve far cadere il velo della segretezza dietro cui si è attualmente nascosta e iniziare a cooperare con quei soggetti che chiedono giustizia per le vittime dell’incendio alla Ali Enterprises”.
La Clean Clothes Campaign (CCC), il Worker Rights Consortium (WRC), il Maquila Solidarity Network (MSN) e l’International Labor Rights Forum (ILRF) hanno invitato tutti i buyers della fabbrica Ali Enterprises a farsi avanti e a garantire che le vittime del rogo siano pienamente ricompensate, che ai lavoratori vengano pagati i loro stipendi in questo periodo di chiusura della fabbrica, e che misure credibili vengano messe in campo per prevenire che una simile tragedia accada di nuovo. Finora, l’unica azienda che ha ammesso di rifornirsi dalla fabbrica, la KiK, lo ha fatto solo a fronte di prove pubbliche a testimonianza della relazione commerciale con l’azienda pakistana. Nessuno degli altri acquirenti è stato ancora identificato.
Dal 9 al 11 ottobre SAI sta tenendo una riunione del suo Advisory Board a Bologna. Gli attivisti chiedono che il Consiglio si impegni a cooperare con i gruppi di lavoro per garantire la giustizia per questi lavoratori, ad adottare misure per far luce sugli eventi che hanno portato a questa terribile tragedia e a contribuire a garantire che le vittime ottengano l’assistenza di cui hanno bisogno e meritano. Ciò include la pubblicazione delle relazioni degli audit e la comunicazione di informazioni sui buyers dalla fabbrica.