La Clean Clothes Campaign (CCC) condanna fermamente la violenta repressione in Bangladesh dei lavoratori tessili che chiedono un aumento salariale a 23.000Tk (193 euro) e invita il governo del Paese a garantire immediatamente il rispetto del diritto dei lavoratori a manifestare. Siamo solidali con tutti coloro che piangono la scomparsa di Rasel Hawlader, operaio colpito da un proiettile durante una protesta.
Mentre pubblichiamo questa dichiarazione, è stato confermato che almeno un’altra persona ha perso la vita durante i disordini, anche se la sua identità e le circostanze sono ancora in attesa di chiarimenti. È chiaro che la repressione sta raggiungendo livelli senza precedenti. Mentre i lavoratori e le lavoratrici rischiano la vita per dare voce alle loro rivendicazioni, i marchi che si riforniscono in Bangladesh si rifiutano di sostenere le loro richieste nelle trattative salariali, legittimando così l’ambiente antidemocratico in cui avviene la revisione salariale.
Le proteste a Gazipur sono iniziate la settimana scorsa, dopo che la Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association (BGMEA) ha presentato la sua proposta di fissare il nuovo salario minimo nel settore dell’abbigliamento a 10.400Tk (87 euro), meno della metà della richiesta dei sindacati di 23.000Tk (193 euro). L’esigua proposta dei datori di lavoro dimostra ancora una volta quanto le legittime aspirazioni dei lavoratori e delle lavoratrici non vengano per nulla prese in considerazione, nonostante siano in linea con i criteri prescritti dalla Legge sul lavoro del Bangladesh e dalla Convenzione 131 dell’OIL in tema di salario minimo.
Le proteste di Gazipur si stanno diffondendo in altre aree del Bangladesh. L’uccisione di Rasel Hawlader testimonia la durezza della repressione nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. Siamo preoccupati che si ripetano le pesanti ritorsioni già avvenute 5 anni fa proprio durante l’ultima revisione salariale.
Chiediamo al governo del Bangladesh di porre immediatamente fine alla violenza usata contro i lavoratori, che hanno il diritto di manifestare secondo la legge del Bangladesh, e di smettere di politicizzare le proteste salariali, riconoscendo invece le agitazioni come una reazione diretta all’oltraggiosa proposta della BGMEA, che semplicemente intrappolerebbe i lavoratori nella povertà per altri cinque anni, a prescindere dal panorama politico del Bangladesh.
Anche i marchi che si riforniscono nel Paese hanno un ruolo innegabile nei recenti sviluppi. La maggior parte si è rifiutata di rilasciare una dichiarazione pubblica a sostegno della richiesta dei sindacati di 23.000Tk, ignorando diverse sollecitazioni in tal senso da parte dei sindacati e della Clean Clothes Campaign. Nonostante i loro codici di condotta e gli impegni assunti nei confronti di meccanismi di determinazione di salari trasparenti e inclusivi, la maggior parte non è riuscita a garantire che la voce dei lavoratori fosse ascoltata durante le negoziazioni salariali.
Chiediamo quindi a tutti i marchi che si riforniscono in Bangladesh di condannare immediatamente la violenza usata contro i lavoratori che chiedono un salario minimo di 23.000Tk, di confermare il loro impegno per un prezzo equo, di chiedere che le rivendicazioni dei lavoratori e dei sindacati indipendenti siano ascoltate dal Comitato per i salari e di garantire che il diritto dei lavoratori alla libertà di associazione sia protetto.
Siamo solidali con gli amici e la famiglia di Rasel Hawlader e con i parenti del lavoratore la cui identità non è ancora stata confermata. Siamo solidali con tutti i lavoratori e le lavoratrici che mettono a rischio la propria vita nell’esercizio del proprio diritto alla libertà di associazione.