Il 26 ottobre 2024, le proteste dei lavoratori della Montblanc di Campi Bisenzio hanno oltrepassato i confini italiani, creando un movimento di convergenza in diverse città europee. Da Ginevra a Basilea, da Zurigo a Berlino fino a Lione e alle principali città italiane, l’eco della protesta si è amplificato, rivelando una rete di solidarietà sempre più coesa e decisa a contrastare le pratiche di sfruttamento che minano la dignità del lavoro.
Montblanc sfrutta e poi scappa
Per anni i lavoratori della Z Production e della Eurotaglio, rispettivamente fornitore e sub-fornitore di Montblanc a conduzione cinese alle porte di Firenze, hanno sopportato turni massacranti tra le dodici e le quattordici ore e salari che non superavano i tre euro l’ora, a fronte di borse vendute a 1.500 euro l’una.
Solo per i lavoratori iscritti al sindacato, il 23 ottobre si sono aperte le porte del licenziamento, perché arrivati alla scadenza della cassa integrazione. Nello stesso giorno, gli azionisti Richemont hanno incassato i dividendi dell’ultimo anno finanziario. L’azionista di maggioranza, il sudafricano Johann Rupert la cui famiglia si è arricchita con la schiavitù nelle piantagioni di tabacco, ha incassato 11,5 milioni di euro: per guadagnare la stessa cifra, un operaio in appalto Montblanc dovrebbe lavorare 737 anni.
La procedura è scattata dopo mesi di scioperi e trattative scaturite dalla sospensione degli ordini da parte di Montblanc, a causa della regolarizzazione dei contratti e quindi degli stipendi dei lavoratori. Un costo del tutto assorbibile dalla maison svizzera, ma che evidentemente non vuole pagare e che per questo ha spostato le lavorazioni in un’azienda sempre della zona, ma dove le condizioni di lavoro sono ancora sotto i minimi sindacali e, soprattutto, i lavoratori non sono organizzati.
Delocalizzazione in loco punitiva
Una delocalizzazione “in loco” punitiva, è stata definita dai Sudd Cobas di Prato e Firenze, ormai da mesi al fianco dei lavoratori, che ha fatto da detonatore una mobilitazione senza precedenti, in cui il sostegno alla causa si è rapidamente esteso oltre i confini nazionali. La richiesta condivisa è chiara: Richemont, proprietaria del brand, deve ricollocare questi lavoratori con il mantenimento dei diritti sindacalmente ottenuti.
Risposta europea contro lo sfruttamento
La Clean Clothes Campaign, insieme a sindacati, associazioni, attiviste e attivisti, si è unita ai lavoratori in un unico appello: fermare lo sfruttamento e restituire dignità a chi, per troppo tempo, è stato invisibile nelle filiere del lusso. In Svizzera, il deputato cantonale Matthieu Jotterand ha preso posizione presentando il 30 ottobre un’interrogazione parlamentare per sospendere gli accordi fiscali tra il Cantone di Ginevra, dove ha sede Richemont, e l’azienda, fino al rispetto dei diritti dei lavoratori italiani.
«A Ginevra, beneficiamo delle imposte pagate sui profitti dei grandi gruppi il cui lavoro è svolto in tutto il mondo, talvolta senza rispetto per i lavoratori. Non possiamo chiudere gli occhi sulle condizioni in cui viene svolto il lavoro nel ‘retrobottega’, con la scusa che abbiamo solo la ‘vetrina’ a Ginevra», ha dichiarato il parlamentare.
L’iniziativa di Jotterand rappresenta un segnale forte: la convergenza è riuscita a sensibilizzare le istituzioni politiche verso un impegno per la giustizia sociale.
Solidarietà oltre le frontiere
Ormai è palese che lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori nella moda non è più solo un problema del sud globale, ma una questione sistemica che riguarda anche l’Italia e l’Europa. Nelle strade di Milano, Berlino e Zurigo, davanti alle boutique Montblanc, i manifestanti hanno denunciato una filiera che produce ricchezza per pochi a costo della dignità di molti. La convergenza europea diventa così un potente strumento di pressione, che dà voce ai lavoratori spesso invisibili, molti dei quali provenienti da Pakistan, Cina, Afghanistan e dal continente africano.
Una convergenza che chiede giustizia
Questa nuova forma di mobilitazione congiunta è molto più di una semplice manifestazione di solidarietà: rappresenta un nuovo modello di lotta che vuole spingere le istituzioni europee a prendere provvedimenti concreti per tutelare i diritti dei lavoratori. Grazie a una strategia coordinata, la Clean Clothes Campaign e altre organizzazioni, stanno spingendo verso una regolamentazione più severa per combattere lo sfruttamento anche nei settori del lusso, tradizionalmente esclusi dalle critiche rivolte al “fast fashion”.
La forza della convergenza europea
Con questa mobilitazione transnazionale, i lavoratori di Campi Bisenzio non sono più soli. Al loro fianco, c’è una rete di sostegno pronta a fare pressione su Richemont e sugli altri grandi gruppi del lusso affinché rispettino la dignità e i diritti di chi contribuisce alla loro ricchezza. Grazie a questa convergenza, le parole “Shame in Italy” risuonano ora in tutta Europa, come richiamo a una giustizia che non può essere ignorata.