Finalmente le opposizioni hanno trovato la quadra sul salario minimo. Questa è una buona notizia. Nel merito l’accordo converge sui 9 euro lordi unitamente a diverse altre proposte, su cui val la pena soffermarsi.
Partiamo dalle note positive. Oltre alla premessa sempre più condivisa anche nel mondo sindacale che riconosce la necessità di intervenire per legge a riequilibrare un sistema di relazioni industriali evidentemente asimmetrico che ha portato negli anni ad un progressivo impoverimento dei lavoratori italiani, molto importante è l’estensione del trattamento economico complessivo previsto dai migliori CCNL a tutti i lavoratori, indipendentemente dallo status contrattuale e inclusi dunque gli autonomi e i parasubordinati, perché qualunque legge sul salario minimo deve costituire un rafforzamento della contrattazione collettiva, garanzia di istituti e diritti non solo monetari. Bene anche la previsione di istituire una Commissione composta da rappresentanti istituzionali e dalle parti sociali che avrebbe come compito principale quello di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo orario, a patto però che ciò non diventi un ostacolo all’effettivo e periodico aggiornamento del salario minimo rispetto all’indice dei prezzi al consumo, senza dimenticare anche l’adeguamento della composizione del paniere.
Decisamente non condivisibile invece è l’idea di sussidiare con contributi pubblici le imprese che non riescono ad adeguarsi al nuovo trattamento minimo. Questo è inaccettabile, visto che qui stiamo parlando di quel livello minimo che dovrebbe consentire ai lavoratori di vivere dignitosamente con la propria famiglia, mandando i figli a scuola, pagando affitto e utenze domestiche per una casa decente, oltre a procurare vestiario e cibo di qualità e quantità sufficiente, possibilmente non prodotto sottocosto sulla pelle di altri lavoratori, in genere migranti. Un salario che dovrebbe consentire a tutti i lavoratori di riparare l’auto o la lavatrice, se necessario, andare dal dentista o fare un esame diagnostico urgente, se i tempi biblici del (fu) Servizio Sanitario Nazionale rischiano di compromettere cure salvavita, di andare in ferie, al cinema, a un concerto. Di questo stiamo parlando, non di vezzi, sprechi o lussi. Se un’ impresa non è nelle condizioni di garantire questo livello salariale a tutti i suoi dipendenti e collaboratori, probabilmente le considerazioni da fare sono altre e più complessive sullo stato di salute dell’economia italiana.
Le imprese che non possono garantire questo livello minimo a tutti i dipendenti, o sono imprese nate e pasciute sullo sfruttamento endemico del lavoro povero, perciò disfunzionali al mantenimento di un tessuto produttivo sano, sostenibile e innovativo o sono fornitori di marchi committenti che accumulano ingenti profitti ed extra-profitti, alla base della inflazione fuori controllo i cui costi sono pagati, ancora una volta, da lavoratori e lavoratrici. I soldi per pagare il salario minimo devono arrivare da qui, da una diversa distribuzione del valore accumulato lungo le catene di fornitura, per una grande operazione di giustizia distributiva, ovvero di restituzione dall’alto verso il basso (le PMI e i lavoratori). È qui, entro relazioni commerciali di filiera (nel privato e nel pubblico) fondate su pratiche e prezzi di acquisto equi, che si devono cercare le risorse per garantire un salario dignitoso a tutti quelli che lavorano mandando avanti l’economia italiana in tutti i settori, da quelli essenziali come la cura, fino al turismo e alla moda.
Veniamo adesso ai 9 euro lordi ma prima chiariamoci sulle parole. Se si vuole assicurare il diritto di ogni lavoratore,”ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, allora con 9 euro lordi non si va lontano. Secondo i nostri calcoli pubblicati nel 2022, cifra oggi superata dalla fiammata inflattiva che in due anni ha ulteriormente eroso almeno del 15% salari da 30 anni in caduta libera (i peggiori d’Europa), il valore del salario che rispetti il dettato costituzionale dovrebbe essere di almeno 1.905 euro netti al mese, cioè 11 euro netti all’ora. Sono calcoli fondati su un metodo solido, semplice e comprensibile a chiunque, perché ancorato alla materialità del costo della vita, numeri che i lavoratori conoscono a menadito, lottando ogni giorno con il bilancio familiare in bilico.
La proposta
1. al lavoratore di ogni settore economico sia riconosciuto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, salvo restando i trattamenti di miglior favore;
2. a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, venga comunque introdotta una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, per tutelare in modo particolare i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali;
3. la giusta retribuzione così definita non riguardi solo i lavoratori subordinati, ma anche i rapporti di lavoro che presentino analoghe necessità di tutela nell’ambito della parasubordinazione e del lavoro autonomo;
4. conformemente anche a quanto previsto nella direttiva sul salario minimo, sia istituita una Commissione composta da rappresentanti istituzionali e delle parti sociali comparativamente più rappresentative che avrà come compito principale quello di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo orario;
5. sia disciplinata e quindi garantita l’effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso;
6. sia riconosciuta per legge l’ultrattività dei contratti di lavoro scaduti o disdettati;
7. sia riconosciuto un periodo di tempo per adeguare i contratti alla nuova disciplina, e un beneficio economico a sostegno dei datori di lavoro per i quali questo adeguamento risulti più “oneroso”.
Lasciamo agli esperti i conti sul lordo necessario a garantire questa cifra che le persone devono capire al volo, senza avere necessariamente una laurea in economia per leggere le buste paga, quando ci sono. Per questo il salario minimo, a nostro avviso, deve essere un valore netto.
Quanti contratti collettivi, non solo quelli c.d. pirata siglati da organizzazioni di comodo, hanno minimi tabellari al di sotto di questa soglia?
Probabilmente molti anche se, e ciò è tremendamente importante, interviene il famoso trattamento economico complessivo e, ove possibile, la contrattazione integrativa a correggere paghe base a volte troppo basse. Per chi ne gode ovviamente, perché poi i contratti sappiamo che non valgono per tuttə e non basta siglarli, bisogna anche farli applicare. Per questo è fondamentale non ostacolare la libertà di associazione sindacale e rafforzare l’Ispettorato Nazionale del Lavoro per combattere la piaga dilagante del lavoro nero e dell’evasione contributiva e fiscale. Tuttavia tale necessario rafforzamento non sembra essere in testa all’agenda della Ministra del Lavoro Calderone. Nè la garanzia dell’esercizio dei diritti sindacali fondamentali, come dimostrano le stucchevoli azioni repressive esercitate nei confronti di sindacalisti e lavoratori stranieri sfruttati nella catena degli appalti made in Italy al servizio di Mondo Convenienza, da oltre 35 giorni in sciopero per chiedere il rispetto di diritti minimi, per citare un caso di attualità.
Per tutti gli altri e le altre, attualmente esclusi dalla platea dei beneficiari di rapporti di lavoro subordinato e che possono godere anche di contrattazione di secondo livello, 9 euro lordi, più o meno 7 euro e spicci, sono pari a circa 1.280 euro netti al mese*, troppo pochi per vivere con dignità, anche se al di sopra della soglia di povertà lavorativa stabilita dall’Istat per il 2022 pari a 11.155 euro. Per questo è cruciale sia l’estensione erga omnes del trattamento economico complessivo previsto dai migliori CCNL con istituti fondamentali come malattia, maternità TFR, 13ma e 14ma, sia aumentare la soglia del livello minimo.
Ma da dove nasce il valore di 9 euro lordi?
I parametri convenzionali situano la soglia di povertà al di sotto del 60% del salario mediano lordo oppure del 50% del salario medio lordo del paese di riferimento. Per l’Italia la media fra questi parametri corrisponde a circa 9 euro, considerando i dati INPS più recenti per chi ha continuità lavorativa.
Il problema è che in un paese con redditi da lavoro in picchiata libera da 30 anni come l’Italia, i valori medi o mediani rischiano di condannare milioni di lavoratori alla povertà. Questa è la critica che come Clean Clothes Campaign abbiamo sollevato a livello europeo in merito alla Direttiva sui salari adeguati con particolare riferimento ai Paesi dell’Europa Sud-Orientale. La garanzia di una esistenza libera e dignitosa per definizione non può essere subalterna alle logiche di mercato e deve invece rimanere ancorata ai bisogni reali dei lavoratori e delle loro famiglie. Per questo il costo della vita dovrebbe essere incluso tra i parametri chiave per attribuire il giusto valore al salario minimo, ciò che abbiamo provato a fare con la nostra proposta.
Un esercizio che suggeriamo ai partiti dell’opposizione di fare prima di depositare la proposta di legge unitaria che, nonostante le convinzioni in senso contrario della Ministra del Lavoro, è necessario che diventi presto oggetto di un genuino processo parlamentare.
*considerando una settimana di lavoro standard di 40 ore e 52 settimane all’anno (per chi ha continuità lavorativa) senza beneficio riduzione cuneo fiscale in vigore fino a dicembre 2023