Nel giorno del settimo anniversario dell’incendio alla fabbrica tessile Ali Enterprises, che nel 2012 in Pakistan uccise oltre 250 lavoratori e lavoratrici, con il nuovo rapporto I lavoratori tessili del Pakistan hanno bisogno di un accordo sulla sicurezza, Clean Clothes Campaign, International Labor Rights Forum, Labour Education Foundation, National Trade Union Federation e Pakistan Institute of Labour Education and Research denunciano come ancora oggi le fabbriche tessili del Paese restino insicure come allora.
Le iniziative avviate negli ultimi anni non sono riuscite a porre i lavoratori (e i sindacati che li rappresentano) al centro dei programmi di sicurezza e quindi difficilmente potranno affrontare in modo significativo la questione. Per questo si chiede un meccanismo ispirato al programma per la sicurezza messo in atto nel 2013 dopo il drammatico crollo dell’edificio Rana Plaza in Bangladesh.
In questa giornata innanzitutto il nostro pensiero va da una parte a tutti i lavoratori e le lavoratrici che hanno vissuto questa tragedia traumatizzante sette anni fa e alle famiglie che in quel giorno hanno perso i propri cari; dall’altra a tutte le vittime e ai feriti colpiti da incendi e altri incidenti prevenibili accaduti negli anni a seguire.
“La totale mancanza di un adeguato sistema di monitoraggio della sicurezza nell’industria dell’abbigliamento in Pakistan è costata centinaia di vite umane negli ultimi anni. Così come l’assenza delle misure che potrebbero essere messe immediatamente in atto, come assicurare che gli operai non restino mai bloccati all’interno degli edifici o rimuovere i prodotti accumulati davanti alle uscite di emergenza, e che avrebbero potuto fare la differenza, salvando centinaia di vite umane dal fuoco della Ali Enterprises e in molti altri incendi accaduti in seguito” dichiara Khalid Mahmood, direttore del Labour Education Foundation in Pakistan.
Il rapporto evidenzia come tutte le iniziative avviate dal 2012 in Pakistan volte a migliorare la sicurezza sul lavoro siano in realtà caratterizzate da scarsa trasparenza. E, cosa più importante, nessuna di esse sia stata sviluppata coinvolgendo i sindacati e le altre organizzazioni per i diritti dei lavoratori pakistane. La rappresentanza dei lavoratori è stata esclusa non solo nella fase di progettazione ma anche in quella di implementazione e nella governance.
Marchi e distributori continuano a convogliare le loro energie sugli stessi schemi di auditing aziendale che in passato non sono riusciti a migliorare significativamente il settore o a prevenire decine di morti. Gli ispettorati governativi pakistani non dispongono di personale e di risorse sufficienti e non sono in grado di coprire in modo significativo un settore in crescita. Nel frattempo, ogni giorno i lavoratori continuano a rischiare la vita in fabbriche non sicure.
“È giunto allora il momento che le aziende che producono abiti e tessuti per la casa in Pakistan inizino a prendere sul serio la sicurezza dei lavoratori. Tutte le parti interessate, a livello locale e internazionale, devono assumersi la loro responsabilità, mettendo le persone che fabbricano i loro prodotti al centro dei loro sforzi per la sicurezza” dichiara Nasir Mansoor, presidente della Pakistani National Trade Union Federation.
Il rapporto esorta i marchi e i distributori che si riforniscono in Pakistan a tenere conto delle richieste del movimento sindacale pakistano di sostenere la formazione di un accordo giuridicamente vincolante tra i brand dell’abbigliamento, i sindacati e i gruppi, locali e globali, impegnati per i diritti dei lavoratori. Tale intesa deve trarre insegnamento dall’esperienza vissuta in Bangladesh attraverso l’Accordo per la prevenzione degli incendi e sulla sicurezza degli edifici, il che significa porre al centro del programma la trasparenza, l’applicazione, gli obblighi commerciali e la partecipazione dei lavoratori. È fondamentale per la sicurezza dei lavoratori che i sindacati locali e le altre organizzazioni locali per i diritti dei lavoratori siano coinvolti nell’ideazione, progettazione, governance e attuazione di qualsiasi iniziativa volta a migliorare la salute e la sicurezza sul lavoro nel Paese.
“Abbiamo visto in Bangladesh, dove sono emerse contemporaneamente due iniziative in materia di sicurezza, che il coinvolgimento dei lavoratori, la trasparenza e la natura vincolante sono essenziali per creare un programma di sicurezza di successo. Mentre l’Alleanza per la sicurezza dei lavoratori del Bangladesh, controllata dalle imprese, non ha mai coinvolto gruppi indipendenti di rappresentanza dei lavoratori nella sua progettazione, sviluppo o governance e ha rifiutato di richiedere impegni giuridicamente vincolanti da parte delle imprese, l’Accordo ha stabilito un nuovo standard rivoluzionario per un sistema di ispezione e bonifica trasparente, replicabile ed efficace. Qualsiasi programma di sicurezza in Pakistan deve partire da qui” dichiara Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti.
Il rapporto chiede che i governi nazionali e provinciali pakistani adottino una serie di misure per allineare la situazione in quelle fabbriche che non fossero incluse nell’accordo.
“È importante che i governi nazionali e provinciali aumentino le risorse, la copertura e l’efficacia, al fine di garantire che tutte le fabbriche di abbigliamento e le strutture tessili in Pakistan diventino più sicure, non solo quelle che producono per il mercato internazionale” dichiara Zulfiqar Shah, co-direttore del Pakistan Institute of Labour Education and Research.
Infine, il rapporto chiede ai governi dei Paesi che ospitano le sedi dei principali brand di abbigliamento e dei distributori di porre fine alle pratiche di autocontrollo inaffidabili, introducendo una legislazione obbligatoria di due diligence in materia di diritti umani garantendo così che i marchi si assumano le loro responsabilità lungo tutta la catena di fornitura. Inoltre anche le società di social auditing devono essere ritenute responsabili di audit erronei che potrebbero costare la vita ai lavoratori.