Il 22 aprile 2020 ricorre il quinto anniversario del fallimento della fabbrica Jaba Garmindo in Indonesia. 2.000 lavoratrici che stavano fabbricando abiti per Uniqlo e per il marchio tedesco s.Oliver persero il lavoro quando i marchi decisero di ritirare i loro ordini e ancora oggi stanno portando avanti la loro battaglia per ricevere i 5,5 milioni di dollari di TFR che gli spettano per legge. La Clean Clothes Campaign (CCC) chiede a Uniqlo, che opera sotto la casa madre Fast Retailing, e s.Oliver di agire immediatamente per porre rimedio alla precarietà finanziaria che queste lavoratrici stanno affrontando, pagando tutto ciò che gli spetta. Entrambe le società sono attualmente oggetto di indagine da parte della Fair Labor Association in merito alle loro azioni su questo caso.
Dopo l’improvvisa perdita del lavoro, queste lavoratrici si sono ritrovate in situazioni estremamente vulnerabili, aggravate oggi dall’attuale pandemia di Covid-19 e dalle conseguenti restrizioni. Molte di loro non sono state in grado di trovare altri impieghi in fabbrica: lavorando per anni alla Jaba Garmindo, alcune sono state ritenute troppo anziane per una nuova assunzione, altre ufficiosamente escluse a causa delle loro continue campagne di pressione. Alcune di loro si sono dedicate alla vendita ambulante, all’assistenza ai bambini o al riciclo degli indumenti per racimolare qualche introito: ora affrontano difficoltà senza precedenti e la maggior parte può permettersi solo riso in bianco come pasto. Non beneficiano di protezione sociale e non potranno accedere al sistema indonesiano delle prestazioni o dei fondi relativi all’emergenza COVID-19. Molte sopravvivono prendendo in prestito denaro dove possono, ma non avendo mezzi per ripagare i loro debiti presto i problemi aumenteranno.
Uniqlo ha un’evidente responsabilità morale nei confronti di queste lavoratrici, ma da cinque anni non si assume le sue responsabilità. Gli standard internazionali impongono che le aziende affrontino e pongano rimedio agli impatti negativi sui diritti umani delle loro pratiche commerciali: se Uniqlo avesse agito in modo responsabile, le 2.000 lavoratrici della Jaba Garmindo non sarebbero ora in posizioni così disperate.
La Campagna Abiti Puliti invita inoltre UN Women, un’organizzazione che si occupa di difendere l’uguaglianza delle donne in tutto il mondo, a prendere iniziative immediate nei confronti di Uniqlo, suo Global Partner Program, per affrontare la sofferenza di queste ex lavoratrici. La Clean Clothes Campaign ha invitato UN Women ad incontrare queste donne ma non ha ancora ricevuto risposta.
Organizzazioni, individui e marchi che intrattengono rapporti commerciali con Uniqlo sono chiamati a intervenire urgentemente per chiedere a Uniqlo di garantire alle lavoratrici ciò che gli spetta. Il marchio di design finlandese Marimekko, ad esempio, lancerà la sua terza capsule collection con Uniqlo il 23 aprile. In merito a questa collaborazione Marimekko ha affermato di “condividere i valori” di Uniqlo e di credere nell’”Equità verso tutti e tutto”. Abbiamo chiesto allora a Marimekko di assicurarsi che la sua etica non sia solo vuota retorica ma al momento l’azienda ha rifiutato di incontrare i rappresentanti della Clean Clothes Campaign per discuterne.
“Le 2.000 lavoratrici della Jaba Garmindo hanno atteso per cinque anni e ora, anche per le restrizioni dovute all’emergenza covid-19, vivono in situazioni estremamente pericolose senza entrate o mezzi per sostenersi. Uniqlo e S. Oliver devono immediatamente farsi avanti e pagare: è ormai una questione di vita o di morte. Chiediamo inoltre a UN Women, per tenere fede alla sua mission, di assumere con urgenza una posizione in favore dei diritti delle donne nel settore dell’abbigliamento assicurandosi che le lavoratrici della Jaba Garmindo non vengano dimenticate”, dichiara Ilona Kelly, coordinatrice per le azioni urgenti della Clean Clothes Campaign.