Gli incendi alle fabbriche di abbigliamento in Bangladesh confermano che le agenzie nazionali di controllo non sono ancora all’altezza del loro compito.
Un altro incendio in una fabbrica di abbigliamento del Bangladesh a Dhaka ha ferito otto persone, secondo i media locali. Questo tragico incidente è avvenuto durante un periodo di incertezza e di negoziati sul futuro dell’Accordo sugli incendi e la sicurezza degli edifici in Bangladesh (Accordo): l’unico programma internazionale che ha migliorato significativamente la sicurezza dei lavoratori nel settore dell’abbigliamento dopo il crollo della Rana Plaza nel 2013. L’incendio conferma che, nonostante le affermazioni contrarie del governo del Bangladesh, gli organismi di controllo nazionali non sono ancora pronti ad assumersi la responsabilità di questo importante lavoro.
I media bengalesi raccontano di un incendio divampato lo scorso 4 marzo a Baipail, Ashulia, alla periferia di Dhaka, nella fabbrica Anzir Apparels Ltd, uno stabilimento presente sul sito web dell’Alliance for Bangladesh Worker Safety, un programma di sicurezza istituito da Gap, Walmart, VF e altri marchi nordamericani in risposta al crollo della Rana Plaza. Secondo il sito web dell’Alleanza, la fabbrica non era riuscita a compiere adeguati progressi in tema di sicurezza dopo che alcune ispezioni del 2014 avevano rivelato enormi problemi. Per questo era stata rimossa da quella lista, intendendo che nessuno dei marchi dell’Alleanza vi si sarebbe più rifornito. Lo stabilimento ha poi chiuso nel marzo 2016. Tra i problemi individuati vi era la mancanza di un adeguato sistema di allarme antincendio, di attrezzature antincendio e di uscite di emergenza sicure. Secondo i lavoratori però la fabbrica non è rimasta chiusa, ma è stata riaperta due mesi dopo. Nel 2017 infine un marchio firmatario dell’Accordo ha effettuato un ordine, ma in tre mesi la fabbrica ha chiuso di nuovo invece di correggere le falle come richiesto.
Il recente incendio dimostra che la fabbrica aveva ricominciato di nuovo a produrre e, secondo i lavoratori, già nel 2017. Lo ha fatto senza affrontare adeguatamente gli evidenti problemi di sicurezza individuati nei rapporti di ispezione, resi pubblici e condivisi con le autorità. L’organismo di controllo che avrebbe dovuto sovrintendere la situazione, il Bangladesh Department of Inspection for Factories and Establishments (DIFE), sembra aver registrato la ripresa dell’attività della fabbrica, ma senza riuscire ad intraprendere alcuna azione. Sul suo sito web e su quello della Remediation and Coordination Cell (RCC), un’organizzazione ombrello per le autorità ispettive del Bangladesh, la Anzir Apparels Unit 1 è elencata come “in funzione“, mostrando una sintesi del rapporto di ispezione iniziale dell’Alleanza, ma senza ulteriori segnali di azione.
La fabbrica non solo ha ignorato le misure di sicurezza, ma anche i diritti dei lavoratori. Recentemente ha cambiato il suo nome in BP Fashion come mossa contro il sindacato di fabbrica, registrato con il vecchio nome e non in grado di accreditarsi nel presunto “nuovo” stabilimento. Ciò è particolarmente preoccupante, poiché la capacità di organizzazione dei lavoratori è fondamentale per la salvaguardia della loro sicurezza, permettendo di denunciare collettivamente i pericoli e rifiutare il lavoro non sicuro. L’Accordo riconosce la libertà di associazione sindacale come parte centrale del suo mandato.
Gli organismi nazionali di ispezione hanno quindi consapevolmente consentito il funzionamento di una fabbrica che, nonostante le sollecitazioni, ha ripetutamente omesso di affrontare i pericoli per la sicurezza ed è stata attiva per tutti questi anni, ad eccezione di due brevi periodi nel 2016 e 2017. Una tale flagrante mancanza di responsabilità dimostra ancora una volta che le autorità nazionali di ispezione del Bangladesh sono pericolosamente in ritardo nell’ispezione, nel monitoraggio e nell’applicazione di misure correttive nelle fabbriche di abbigliamento di loro competenza. Questa osservazione è dimostrata dai numeri: ad esempio, secondo un rapporto del settembre 2018 cofirmato dal governo del Bangladesh, solo il 29% dei difetti di sicurezza iniziali riscontrati nelle fabbriche coperte da organismi di ispezione nazionali sono stati eliminati. Molti dei problemi di sicurezza che rimangono in sospeso costituiscono pericoli immediati per i lavoratori del settore dell’abbigliamento e la maggior parte dei termini imposti per adeguarsi sono scaduti anni fa. La valutazione della situazione è ulteriormente ostacolata dalla mancanza di trasparenza: nessun rapporto di follow-up delle ispezioni è disponibile al pubblico.
Negli ultimi mesi, il governo del Bangladesh ha cercato di garantire ai marchi, ai governi stranieri e ai giornalisti che le sue agenzie nazionali fossero all’altezza del compito di ispezionare e far rispettare le misure correttive in tutte le fabbriche di abbigliamento del Paese. Ha ripetutamente affermato che fosse giunto il momento che i programmi internazionali di sicurezza creati in risposta alla tragedia del Rana Plaza trasferissero le loro responsabilità alle agenzie di ispezione nazionali, plaudendo all’Alleanza per aver rivisto le sue attività e cercando attivamente di limitare l’Accordo.
Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, coalizione italiana della Clean Clothes Campaign ha dichiarato: “Alla luce della mancanza di capacità degli organismi di controllo nazionali dimostrata ancora una volta da questo incendio, e ulteriormente aggravata dal fatto che essi sono responsabili anche di tutti gli altri edifici industriali del Paese, risulta evidente che oggi il passaggio delle funzioni ispettive delle fabbriche monitorate dall’Accordo a questi organismi sarebbe estremamente irresponsabile. Non può esserci un trasferimento di responsabilità fino a quando l’Accordo non avrà terminato la messa in sicurezza delle fabbriche di sua competenza affrettandosi ad ampliare la sua portata e includere l’ispezione delle caldaie e le industrie correlate nella filiera tessile. L’Accordo dovrebbe anche esaminare seriamente i reclami dei proprietari delle fabbriche per i prezzi sleali pagati dai marchi che limitano le possibilità di investire in sicurezza. Allo stesso tempo il governo del Bangladesh dovrebbe accelerare le riforma degli enti nazionali per garantire trasparenza e ispezioni continuative, secondo standard elevati a reale protezione della vita dei lavoratori”
Le organizzazioni che hanno firmato l’Accordo del Bangladesh in qualità di testimoni – Clean Clothes Campaign, International Labor Rights Forum, Maquila Solidarity Network e Worker Rights Consortium– invitano il governo del Bangladesh a rispondere a questo incendio sostenendo pubblicamente e senza condizioni il lavoro salvavita svolto dell’Accordo fino a quando l’impegno avviato con il crollo della Rana Plaza non sarà completamente portato a termine.
Note:
- L’Alleanza cita lo stabilimento come chiuso l’8 marzo 2016: http://www.bangladeshworkersafety.org/factory/suspended-factories?fid=10149#table
- Il database DIFE-RCC considera la fabbrica “in funzione” e cita un sommario dell’ispezione dell’Alleanza http://database.dife.gov.bd/index.php/factories/alliance-assessed/details/4/332
- I problemi di capacità dell’organismo nazionale di controllo sono stati resi evidenti anche da un altro incendio in un quartiere di Dhaka divampato pochi giorni prima. https://www.business-humanrights.org/en/dhaka-fire-shows-that-bangladesh-must-build-better-safety-systems-rather-than-scrap-the-accord.
- Il rapporto di settembre 2018 del Bangladesh Sustainability Compact dichiara una bonifica del 29% per le fabbriche tessili coperte dagli organismi di ispezione nazionali. Ciò contrasta con il tasso di bonifica dell’89% annunciato dall’Accordo un mese dopo per 1.572 fabbriche di sua competenza.