Mercato abbigliamento italiano:

La maggioranza degli Italiani pensa che i marchi dell’abbigliamento debbano assumersi la responsabilità dell’impatto delle proprie filiere
Lo rivela un sondaggio europeo, il più approfondito mai realizzato.
Solo un Italiano su dieci associa il brand del lusso Gucci a una filiera sostenibile

I consumatori italiani diventano sempre più consapevoli, non solo nel settore della produzione alimentare ma anche in quello dell’abbigliamento e della moda,che, secondo Statista[1]si stima arriverà a un valore di mercato di 42 miliardi di dollari nel 2020. I grandi brand non possono più contare su una fiducia indiscussa ma devono mettere in conto, da parte di chi compra, un occhio sempre più vigile e attento sugli aspetti che riguardano l’ambiente, la salute e le condizioni dei lavoratori.
Lo rivela  un sondaggio effettuato da Ipsos MORI per conto di Changing Markets Foundatione Clean Clothes Campaign, che ha evidenziato che solo due Italiani su dieci (22%) ritengono che l’industria informi adeguatamente i consumatori riguardo all’impatto produttivo sull’ambiente e sulla popolazione e otto su dieci (82%) ritengono che i marchi  debbano fornire informazioni sugli obblighi assunti e le misure adottate per ridurre l’inquinamento.

Secondo il sondaggio, inoltre, due Italiani su tre (64%) dichiarano di non essere disposti a comprare articoli di abbigliamento da marchi la cui produzione è associata all’inquinamento e addirittura il 72% (i tre quarti degli Italiani) pensa che i marchi di abbigliamento debbano assumersi la responsabilità di ciò che avviene nelle loro catene di produzione e distribuzione e debbano garantire che i loro articoli siano prodotti in maniera ecosostenibile. Per quello che riguarda le condizioni di lavoro e di salario ben otto italiani su dieci (78%) considera importante che i marchi dell’abbigliamento dichiarino in maniera trasparente se i dipendenti che lavorano nelle proprie filiere ricevono un salario dignitoso e il 58% sostiene che non comprerebbe prodotti da un marchio che non paga i giusti compensi.

Si tratta dell’indagine di mercato più approfondita mai realizzata relativa alla percezione da parte dei consumatori degli standard ambientali e lavorativi nell’industria dell’abbigliamento. L’indagine rivela che i consumatori si aspettano che i marchi si assumano la responsabilità di ciò che avviene all’interno delle proprie filiere e chiedono maggiore trasparenza sia per quanto riguarda le condizioni di lavoro sia per il rispetto dell’ambiente. I risultati dell’indagine puntano tutti verso un netto cambiamento di mentalità da parte dei consumatori i quali chiedono una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell’industria e più informazioni”  dichiara Urska Trunk della Changing Markets Foundation.

Sono sempre più numerosi gli appelli rivolti all’industria della moda italiana affinché adotti processi produttivi più responsabili.[i]Nonostante l’alto valore di mercato del settore, le rivelazioni fatte dalla Clean Clothes Campaign relative alle misere condizioni di lavoro nelle fabbriche in Albania e Macedonia, dove vengono prodotte le calzature cosiddette “Made in Italy” per i marchi di lusso, e i risultati non soddisfacenti delle analisi di “internal auditing” relative alle condizioni di lavoro, hanno causato un danno di immagine e hanno condotto l’opinione pubblica a fare pressione affinché questa situazione cambi.[ii]

In linea generale i marchi del lusso elencati nel sondaggio non sono considerati migliori dei marchi più economici o dei rivenditori al dettaglio. Il sondaggio ha infatti messo in luce alcuni dati sorprendenti relativi ai brand del lusso. Per esempio, il 10% degli Italiani associa il marchio Gucci a una filiera ecosostenibile, contro il 13% di Zara e il 17% di H&M. Ricerche condotte dalla Clean Clothes Campaign tra l’altro rivelano come Gucci si rifornisca in diversi Paesi dove sussistono misere condizioni di lavoro, come la Serbia[1].

Questione viscosa
La viscosa è una fibra vegetale che sta diventando un’alternativa sempre più diffusa al cotone o ai prodotti sintetici.  Ma la produzione della viscosa necessita di sostanze chimiche tossiche che hanno effetti nocividocumentati sull’ambiente e sulla salute delle persone se non debitamente controllate.[iii] Più di 303.000 consumatori dell’UE hanno firmato una petizione lanciata da WeMove per chiedere all’industria dell’abbigliamento di impegnarsi nella produzione di viscosa pulita.[iv]

L’indagine Ipsos MORI ha anche rivelato che il 71% degli Italiani concorda sul fatto che i marchi dell’abbigliamento dovrebbero fornire informazioni sui loro produttori di viscosa e il loro impatto sull’ambiente.

Secondo il rapporto della Changing Market Foundation Dirty Fashion: on track for transformation  (La moda sporca: sulla via della trasformazione), i brand del lusso italiani quali Gucci, Prada e Fendi sono stati inclusi tra i marchi peggiori per quanto riguarda la viscosa, accanto a rivenditori al dettaglio della fascia più bassa come Lidl ed ASDA.

“Questa indagine indica un forte sostegno da parte dei consumatori alle azioni intraprese dall’industria della moda per garantire che i marchi producano articoli di abbigliamento in maniera ecosostenibile. Le aziende del settore dovranno passare a metodi più “puliti” per soddisfare le aspettative dei consumatori.  Ci stiamo rivolgendo alle aziende italiane che si occupano di abbigliamento chiedendo di seguire l’esempio di altri marchi UE e firmare la nostra Roadmap per una filiera della viscosa più pulita. Abbiamo bisogno della massima trasparenza e di uno spostamento verso un modello produttivo che non distrugga la vita delle persone e gli ecosistemi naturali”  aggiunge Urska Trunkdella Changing Markets Foundation.

Salari bassi, serve più informazione.
Sempre secondo il sondaggio di Ipsos MORI, più della metà dell’opinione pubblica italiana (54%) ha la sensazione che l’industria della moda paghi salari troppo bassi ai lavoratori delle proprie filiere e due terzi (67%) ritiene che sia difficile sapere con certezza se gli articoli di abbigliamento che acquistano rispettano gli standard etici più alti.

“I consumatori non sono più disposti a comprare prodotti di quei marchi che non pagano salari dignitosi”, dichiaraDeborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign. “Se l’industria dell’abbigliamento non si decide ad agire concretamente, convertendo la produzione verso una maggiore sostenibilità e legalità, è giunta l’ora che lo facciano direttamente i governi.”

La Changing Markets Foundation collabora con le ONG realizzando campagne incentrate sui mercati. Il nostro obiettivo è portare all’attenzione dell’opinione pubblica pratiche aziendali irresponsabili e spingerla verso un’economia più sostenibile.www.changingmarkets.org / @ChangingMarkets

Clean Clothes Campaign è un’alleanza globale che si occupa del miglioramento delle condizioni di lavoro e dei diritti dei lavoratori della filiera dell’abbigliamento in tutto il mondo. E’ composta di sindacati e ONG che garantiscono la copertura di un ampio spettro di argomenti e interessi, tra i quali salario dignitoso, salute e sicurezza, trasparenza e lavoro migrantein una prospettiva di genere, azioni di sensibilizzazione dei consumatori e riduzione della povertà. www.cleanclothes.org/ @cleanclothes

 

Il link al sondaggio:
https://tinyurl.com/ycctqdra

 

Note:

L’indagine

La Ipsos MORI è stata incaricata dalla Changing Markets Foundation di effettuare un’indagine di mercato presso consumatori adulti tra i 16 e i 75 anni in sette Paesi: GB, USA, Francia, Germania, Italia, Polonia e Spagna.  Sono state realizzate 7.701 interviste, pari a più di 1.000 interviste per ogni Paese, come indicato in dettaglio nella tabella.
Totale: 7701
GB: 1117
USA: 1117
Francia: 1100
Germania: 1093
Italia: 1076
Polonia: 1109
Spagna: 1089

Sono state fissate delle quote demografiche per ottenere un campione rappresentativo in ogni Paese.  I dati sono stati successivamente ponderati sulla popolazione conosciuta di ogni paese.

L’indagine è stata condotta online, con interviste di gruppo effettuate tramite il sistema Ipsos MORI (i:omnibus), tra il 19 e il 26 ottobre 2018.

Considerato che l’indagine è stata realizzata on line, è rappresentativa solo della popolazione online (c.90% in tutti i paesi).

I confronti tra i vari paesi vengono fatti solo se statisticamente significativi.  Trattandosi di un’indagine on line, e quindi con campione auto-selezionato, i margini di errore sono più alti. Tecnicamente la significatività e gli intervalli di confidenza si applicano solo a campioni randomizzati; tuttavia, i campionamenti causali di buona qualità si sono rivelati altrettanto accurati nella pratica.

Il questionario verteva sui seguenti argomenti:

  • Domande sulle abitudini di acquisto di articoli di abbigliamento e sulle scelte fatte in merito alla sostenibilità.
  • Percezione delle questioni della sostenibilità nell’ambito dell’industria della moda e la filiera dei marchi dell’abbigliamento.
  • Opinioni sui diritti dei lavoratori e sui salari pagati nel settore della produzione di articoli di abbigliamento.
  • Opinioni specifiche sull’uso della viscosa nei processi produttivi dei capi di abbigliamento.
  • Opinioni sui sistemi di certificazione dei capi di abbigliamento attuali e alternativi.

[1]https://www.abitipuliti.org/report/2017-report-europes-sweatshop-leuropa-dello-sfruttamento/

1https://www.statista.com/topics/4124/apparel-market-in-italy/

[ii]https://www.abitipuliti.org/report/2014-report-stiched-up-salari-da-poverta-per-i-lavoratori-dellabbigliamento-in-europa-orientale-e-in-turchia/, https://www.abitipuliti.org/report/2016-report-il-lavoro-sul-filo-di-una-stringa-2/ 

[iii]https://changingmarkets.org/portfolio/dirty-fashion/

[iv]https://act.wemove.eu/campaigns/zara-hm-abiti-puliti

 

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