Il 25 settembre 2013, in Bangladesh, più di cento operaie tessili sono rimaste ferite mentre protestavano per l’aumento dei salari dopo il crollo del Rana Plaza, il più grave disastro industriale nella storia della moda. La Clean Clothes Campaign (CCC) ha scelto questa data per celebrare, in oltre trenta paesi, la prima Giornata mondiale del salario dignitoso. L’invito a unirsi alla lotta e a dare avvio a un movimento globale dal basso è rivolto a organizzazioni, sindacati, attivisti e a chi crede che sia arrivato il momento di istituire il salario dignitoso per tutti e tutte. L’obiettivo è ottenere il riconoscimento di un diritto universale al momento negato.

Oggi in Italia nella metà delle famiglie in povertà relativa vi è almeno un componente che ha un lavoro, ma non uno stipendio sufficiente a soddisfare i bisogni del nucleo familiare. Che tradotto significa non riuscire a fare la spesa, pagare l’affitto, non avere i soldi per il materiale scolastico, le cure mediche, i trasporti e l’abbigliamento. Solo negli ultimi tre anni l’inflazione ha aumentato i prezzi al consumo del 17,3%, mentre i salari sono rimasti pressoché stabili.

Un’ingiustizia profonda se si considera che nel 2020 lo stipendio di un manager tra i più pagati era di 649 volte maggiore rispetto a quello di un operaio della stessa ditta. Eppure quando i lavoratori chiedono un aumento salariale, la risposta è sempre negativa e la giustificazione è che rappresenta una minaccia ai profitti aziendali. Ma la realtà è un’altra.

Per Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti, «l’industria della moda produce ingenti profitti grazie alla massima compressione dei costi di produzione, principalmente dei salari, anche nelle filiere del lusso. Questa situazione non è più accettabile. Le operaie del tessile non possono continuare a lavorare in condizioni di sfruttamento e violazione dei diritti fondamentali, ricevendo in cambio salari da fame. Per questo è arrivato il momento di istituire un salario minimo dignitoso per ogni lavoratrice in qualunque parte della filiera operi».

La svolta sta nel legare il salario giusto alla dignità umana e non più alla produttività. Secondo la metodologia di calcolo proposta da Clean Clothes Campaign, che si basa sul costo della vita e prende come riferimento un ménage familiare anziché individuale, un salario dignitoso per una persona che lavora 40 ore a settimana nel 2024 dovrebbe essere non meno di 2.000 euro netti al mese (€11,50 netti all’ora). Una crescita di almeno €95 netti mensili rispetto al calcolo del 2022 che riflette la perdita, inesorabile, di potere d’acquisto. Se questa fosse la soglia per l’individuazione di bassi salari, in Italia avremmo tre lavoratori su quattro sotto soglia, cioè con un reddito annuale netto al di sotto di 24mila euro.

Il modo di fare impresa che punta esclusivamente alla massimizzazione dei profitti di pochi non fa altro che affamare gran parte del pianeta e questo non solo è ingiusto, ma anche insostenibile. Su pressione dell’opinione pubblica, molte aziende fanno della sostenibilità e dell’impegno per una giusta transizione i loro marchi di fabbrica tramite seducenti campagne di greenwashing. Ma è evidente che senza salario dignitoso non ci sarà mai nessuna transizione giusta, perché solo quello è la base per uno sviluppo socio-economico veramente equo.