UPDATE: leggi il report in italiano
Attivisti chiedono oggi con forza un intervento immediato da parte dei governi e delle aziende per abolire definitivamente la tecnica della sabbiatura e gli altri processi di rifinitura dalla produzione dei jeans. La richiesta è contenuta in un nuovo report sulle condizioni di lavoro in sei fabbriche della provincia cinese di Guangdong, la regione in cui viene prodotta più della metà dei denim commerciati nel mondo.
L’inchiesta Breathless for Blue Jeans: Health hazards in China’s denim factories ha rivelato una presenza ancora molto diffusa del sandblasting in Cina, nonostante la maggior parte dei brand occidentali avessero dichiarato pubblicamente 3 anni fa di volerla abolire perché causa di silicosi, una lunga malattia respiratoria che ha già prodotto la morte di molti lavoratori del tessile. La tecnica viene utilizzata per fornire ai jeans un aspetto “logoro”.
Uno dei lavoratori intervistati ha dichiarato: “Il nostro reparto è pieno di polvere nera e di jeans. La temperatura nella fabbrica è molto alta. L’aria è irrespirabile. Mi sento come se lavorassi in una miniera”.
Il nuovo rapporto, basato su interviste ai lavoratori all’interno delle fabbriche, ha inoltre rivelato l’uso di altre tecniche di rifinitura altrettanto pericolose: la levigatura manuale, la lucidatura, la tintura e l’uso di agenti chimici come il permanganato di potassio. Tutto senza adeguati equipaggiamenti di protezione e formazione sul loro utilizzo.
I lavoratori e le lavoratrici devono sopportare queste condizioni per più di 15 ore al giorno e per un salario minimo di meno di 1100 yuan al mese (circa 137 euro).
Chiediamo quindi un abolizione totale e vincolante della sabbiatura dall’industria tessile, insieme ad una migliore protezione nell’uso delle altre tecniche di rifinitura.
Il rapporto è stato prodotto da IHLO, l’Hong Kong Liaison Office del movimento sindacale internazionale; Students and Scholars Against Corporate Misbehaviour (SACOM), sempre con sede ad Hong Kong; dalla Clean Clothes Campaign; e dal gruppo di pressione sui diritti dei lavoratori War On Want.