Quest’anno la lettera del 6 gennaio ha deciso di scriverla la Befana in persona. Pubblichiamo il testo integrale e le esprimiamo tutta la nostra solidarietà.
Cara Presidente del Consiglio,
le scrivo questa lettera perché sono disperata. E come me almeno altri tre milioni di lavoratori e lavoratrici poveri di questo Paese.
Faccio un lavoro usurante, tutto il giorno in giro a consegnare pacchi, dolci e caramelle con ritmi serrati e disumani, per garantire la gioia di grandi e piccini. Neve, gelo e tramontana: senza pause e riposi. Calzo da anni scarpe rotte e sulle spalle un vecchio scialle: con quello che guadagno e l’inflazione dilagante non posso permettermi molto di più. Quando si rompe la scopa i costi di manutenzione sono a carico mio e tra aumenti dei prezzi e scarsità di risorse è diventato sempre più difficile. Non le dico quanto sia pericoloso saltare da un camino all’altro, a rischio continuo di infortuni, senza malattia o indennità di alcun genere. Il salario? Qualche briciola e un po’ di mance.
Mentre confezionavo i doni da consegnare, ho seguito con molta apprensione la discussione sulla sua Legge di Bilancio: ma, a dir la verità, l’ho trovato un dibattito poco appassionante e a tratti grottesco. Ha scelto in un sol colpo di privilegiare i ricchi e le multinazionali, che spesso sono proprio quelli che mi sfruttano e lucrano sul mio lavoro. “Non disturbare chi vuole fare” le ho sentito dire. Ha tagliato il Reddito di Cittadinanza, misura fondamentale che pur mi ha garantito un po’ di sollievo in questi ultimi mesi, senza un piano alternativo. Ha promosso condoni e perdoni, mascherandoli da pacificazioni, togliendomi perfino il piacere di lasciare qualche pezzo di carbone a chi in fondo se lo è meritato.
Ho pensato sinceramente che fosse una cosa personale nei miei confronti. Forse una calza non ricevuta da bambina, un dono poco gradito, una promessa non mantenuta. Ma non spiegherebbe questo accanimento che dura da anni, da parte sua e di chi l’ha preceduta.
Eppure uno spiraglio nei mesi scorsi si era intravisto. Una debole, ma pur sempre importante, apertura al salario minimo. Invece avete avuto la brillante idea di affossarla con l’approvazione di due striminzite paginette (tecnicamente una mozione). In quelle poche righe ci avete raccontato che tutti i nostri problemi sono legati al costo del lavoro troppo elevato (chissà perché strizzando sempre l’occhio alla parte delle imprese), che la contrattazione collettiva va rafforzata, che bisogna contrastare i contratti pirata. Lo avete fatto? No.
Nel frattempo avete condannato all’invisibilità me e almeno il 13% della forza lavoro del nostro Paese, tre milioni di persone che non ricevono abbastanza soldi per vivere dignitosamente, sebbene abbiano un impiego. Una situazione che in questi anni di pandemia di Covid non ha fatto che peggiorare. Da marzo 2020 a oggi siamo 400 mila persone in più in questa condizione. Le retribuzioni reali medie non aumentano da più di vent’anni e, grazie a voi e all’inflazione fuori controllo, continueranno a perdere potere d’acquisto.
Ma davvero credete che bastino due paginette per fermare anni di lotta e rivendicazioni? Per archiviare un tema così delicato e complesso? La povertà lavorativa è un fenomeno sociale che va oltre la pura questione salariale e dipende da diversi fattori (individuali, familiari, istituzionali) e dalla configurazione delle catene globali del valore. Io giro il mondo col mio lavoro, si fidi.
Per essere affrontata e aggredita nelle sue cause strutturali, sono necessarie misure diverse e complementari di politica economica e fiscale, di natura legislativa e contrattuale, a livello sia nazionale che internazionale. Il tema del salario è una questione non unica ma urgente su cui intervenire per aggredire il problema della povertà lavorativa e della diseguaglianza in Italia.
Ci state spingendo alla disperazione, volete costringerci a stare al nostro posto senza fiatare, e a sopportare in silenzio le ingiustizie economiche e sociali che già subiamo, pena la perdita anche di quelle briciole di pane che ci lasciate di fianco al caminetto.
Eppure così invisibili non siamo: consegniamo i vostri pacchi e pacchetti, puliamo i vostri uffici e le vostre belle case, assistiamo i vostri anziani e le persone bisognose, serviamo nelle vostre mense, cuciamo e stiriamo i vostri abiti. Chissà cosa accadrebbe se domattina ci fermassimo tutte e tutti per un giorno. Se quelle calze che vi aspettate gonfie all’improvviso restassero vuote.
La povertà e le sue cause non sono una colpa, né una responsabilità individuale. Le soluzioni devono essere collettive perché la dignità o è di tutti o di nessuno.
Allora mi permetta di farle un dono. Non il carbone che sporca, puzza e inquina: non vorrei mai che lo prendeste come un suggerimento per investire ancora sulle energie fossili… Piuttosto un consiglio di lettura: Il salario dignitoso è un diritto universale, rapporto della Campagna Abiti Puliti che formula suggerimenti legislativi concreti per combattere la povertà lavorativa nel nostro Paese, quello delle eccellenze Made in Italy cui lei ha addirittura dedicato un Ministero.
Se vuole discuterne non esiti a contattarmi: come sa, basta una letterina.
In fede
La Befana